Agitu Gudeta Ideo, 42 anni, nata in Etiopia, laureata in Sociologia all’Università di Trento, e figlia di docenti universitari (in Etiopia il padre era professore universitario) è stata trovata senza vita nella sua casa in Valle dei Mochéni, in Trentino. Simbolo di integrazione e imprenditrice virtuosa, era fuggita dall’Etiopia all’età di diciotto anni e, dal 2010, viveva in trentino. Una vita difficile la sua, sin dai primi anni vissuti nel suo Paese di origine a lottare contro il land grabbing ovvero l’espropriazione forzata da parte delle multinazionali delle proprietà degli agricoltori e allevatori autoctoni. “Denunciavamo l’illegalità degli espropri forzati dei terreni agricoli, voluti dal Governo a spese dei contadini locali”, raccontava Gudeta a Internazionale. “L’Etiopia è un Paese ancora agricolo e queste politiche del Governo riducono alla fame i contadini che sono costretti a lavorare per le multinazionali per 85 centesimi di dollari al giorno”. Perseguitata per la sua lotta, aveva ottenuto in Italia lo status di rifugiata e si era stabilita in Trentino dove aveva fondato La Capra Felice, un progetto virtuoso basato sul recupero e la valorizzazione di un terreno abbandonato, in montagna. Tuttavia, l’odio a sfondo razziale l’aveva costretta a subire frasi offensive e atti discriminatori di ogni genere. “Questo non è il tuo posto, brutta negra, torna al tuo Paese”, queste erano solo alcune delle frasi che un uomo del posto le rivolgeva. Donna, imprenditrice, nera, rifugiata, in sintesi un’aliena nell’immaginario retrogrado che contraddistingue alcune aree del nostro Paese, da Nord a Sud.
Un atteggiamento grave che aveva trovato il culmine nell’agosto del 2018, quando Agitu Gudeta Ideo aveva subito un’aggressione fisica oltre alle minacce. L’imprenditrice aveva ottenuto dal Tribunale di Trento la condanna del suo persecutore, a nove mesi di reclusione per il reato di lesioni derubricando l’accusa di stalking e l’aggravante dell’odio razziale. Le difficoltà affrontate dalla giovane donna sono tornate sulla stampa nazionale quando la notte del 20 dicembre scorso Agitu è stata ritrovata morta, uccisa, presumibilmente, a martellate, nella sua casa in Valle dei Mòcheni. Riversa a terra, sul pavimento della camera da letto, con sul corpo segni di violenza di ogni genere. Fermato dopo poche ore dai fatti, il suo aggressore, il reo confesso Adams Suleimani, di nazionalità ghanese avrebbe fatto riferimento a un movente economico. Pastore che lavorava alle dipendenze di Agitu, il 32enne avrebbe agito per rivendicare un presunto stipendio non pagato, come trapelato dalla procura dopo l’interrogatorio seguito al fermo, ma saranno gli inquirenti, con le loro indagini, ad accertare il contesto in cui è maturata l’aggressione. In Trentino, Agitu aveva fondato un’azienda con uno scopo ben preciso, salvare una tradizione che rischiava di estinguersi, allevando le capre autoctone nella Valle dei Mocheni.
L’azienda La Capra Felice era un progetto potente e sostenibile, per combattere l’abbandono delle terre e garantire la biodiversità. Agitu, che non si era limitata a riattivare le attività sul territorio, aveva dato nuova vita e nuove chances alla comunità locali coinvolgendo gli abitanti in un’attività inclusiva che aveva come unico obiettivo quello di promuovere una microeconomia che, al contempo, rispettasse le peculiarità dell’ambiente e preservasse le sue specie animali. Dalle 80 capre, otteneva il latte che, una volta trasformato, vendeva nel suo caseificio, un vero e proprio laboratorio di eccellenze casearie trentine, dal formaggio al latte crudo. Il suo talento imprenditoriale l’aveva portata a ricevere, alcuni mesi fa, la Bandiera verde di Legambiente, per la ‘determinazione e passione nel portare avanti un’importante esempio di difesa del territorio, di imprenditoria sostenibile e di integrazione’. Sempre sorridente e positiva nelle interviste rilasciate per raccontare la sua meravigliosa storia, era riuscita, fino al giorno della sua morte, a sfuggire a forme di violenza molteplici e costanti, da quelle in Etiopia a quelle in Italia. Si è dovuta arrendere al femminicidio, l’ennesimo.
di Sergio Lanfranchi