Le origini di Messina: Gli Zanclei

Gli Zanclei, arrivati nella ‘Terra del Sole’, con la sua meravigliosa posizione, con la funzione dello Stretto come grande arteria di traffico marittimo, si trovarono di fronte a fantastici luoghi inseriti in un primitivo contesto inimmaginabile, pur se già reso noto dalla poesia dei canti omerici che esaltavano i miti di Scilla, Cariddi e le ammalianti sirene. Quel magico ambiente riusciva a catturare anche gli animi meno sensibili, acquisendo un’importanza eccezionale in considerazione anche delle esigenze connesse ai collegamenti tra la madre Patria (Grecia) e gli ulteriori stanziamenti o siti preesistenti che si trovavano in tutta quell’area delle diverse regioni del mondo Mediterraneo e, in modo particolare, sulle coste di quel meridione d’Italia che, successivamente, verrà definito ‘La Magna Grecia’, senza tralasciare le eventuali prospettive dei pedaggi che sarebbero potuti scaturire dalle soste commerciali, che qui avrebbero fatto scalo. Nel frattempo, per arginare gli stanziamenti di Cartagine e la sua concorrenza mercantile, avvalendosi della partecipazione di profughi siracusani, gli Zanclei, nel 649-48 a.C., vanno a fondare anche Himera nella collina ad ovest della foce del fiume omonimo nei pressi dell’attuale Termini Imerese (Tucidide oltre a indicare gli ecisti a capo della missione, che avevano il compito di distribuire con criteri di equità i terreni acquisiti con la fondazione, cita anche la partecipazione di alcuni elementi provenienti da Siracusa).

Da questi ulteriori insediamenti in poi, la città di Zancle che già aveva un suo ben delineato profilo politico e commerciale, con il completamento dell’arrivo dei coloni Ellenici, Cumani, Calcidesi, Naxi, Eretri, e così via, è stata costretta a mutare la forma governativa precedente in una oligarchia di tipo tissocratico, cioè retta dai proprietari terrieri, operatori economici e dai commercianti. Questo tipo di governo durò un secolo, ma in seguito proprio perché il potere era solo nelle mani dei ricchi, scaturì un malcontento generale, sia tra gli indigeni (Siculi) in quanto si sentivano espropriati ed esclusi, come pure tra i nuovi coloni che, purtroppo, non venivano considerati in quanto ultimi arrivati (come dire chi tardi arriva male alloggia). Dopo avere completato la fondazione della città di Himera nel 649-648 a.C., con l’arrivo di molte altre popolazioni giunte sulle rive dello Stretto provenienti dalla Grecia, i potenti che già amministravano le sorti della città di Zancle, con un sistema di potere timocratico (potere detenuto da pochi agiati), che durò un secolo circa, per evitare rivolte, conseguentemente a un serpeggiante malcontento generale, si trovarono costretti ad accettare un sistema di governo più democratico, nel quale fecero partecipare non solo gli indigeni locali, ma anche i nuovi arrivati, cercando di distaccarsi il più possibile a non imitare i governi di origine dei gruppi etnici di provenienza, che erano in massima parte costituiti e guidati da tiranni.

In sostanza, tenendo presente l’oppressione che avevano subito a suo tempo dagli aristocratici nei paesi di origine, questa riforma prevedeva che tutti gli uomini di qualsiasi ceto sociale potevano benissimo ambire e partecipare al consiglio dei cittadini, anche se in rappresentanza della propria etnia di appartenenza, e, comunque, nell’interesse generale della città di Zancle. In ultima analisi, ciò limitava moltissimo l’operato del reggente o degli eventuali reggenti. Pertanto, l’immagine di Zancle, nel corso del VI secolo a.C., si evidenziava come quella di una città retta da una forma di oligarchia, ma ampiamente più democratica, infatti, Erodoto conferma che la sua costituzione in effetti fosse proprio sotto questa forma, in quanto a reggere o a dirigere le sorti della città erano preposti 300 cittadini. Durante questa fase, lo sviluppo del commercio marittimo contribuiva in massima parte nella crescita della struttura sociale della città. Gli abitanti di Zancle incrementarono le possibilità dello scambio in modo particolare con la patria originaria, alla quale, pur se per l’epoca molto lontana e fuori dalla sua giurisdizione, si sentivano in qualche modo a essa legati sia spiritualmente che negli usi e costumi. Tuttavia, non disdegnavano i rapporti commerciali con gli Etruschi che offrivano i loro bronzi e il ferro dell’Isola d’Elba, né quelli con i Cartaginesi che portavano la porpora da Tiro, le stoffe preziose e i profumi d’Oriente, gli articoli di vetro, il rame e la lana dalla Spagna e anche con gli altri paesi dell’area del Mediterraneo.

di Filippo Scolareci