Ho letto, tutto d’un fiato, un prezioso libro che, come una “calamita”, attira e invoglia a leggerlo, davvero interessante. È l’autobiografia del “principe degli attori comici”, del re della “risata”, di Antonio de Curtis, in arte Totò, il diario della sua giovinezza che va dal 1922 al 1930. L’ha trovato la figlia Matilde, un giorno – come racconta – in uno dei suoi viaggi della memoria, frugando in un cassetto ha trovato un volume ingiallito dal tempo, dal titolo: “Siamo uomini o caporali?”. L’ha letto con avidità e ha deciso di pubblicarlo con la collaborazione di Alessandro Ferraù. Da queste pagine, esce vero e vibrante come mai è stato raccontato per il semplice motivo che… è lui stesso a raccontarsi, è un’autobiografia. Totò, con il suo linguaggio semplice e la sincerità che lo contraddistinguevano, racconta la povera e tormentata giovinezza, le mille peripezie per farsi avanti e seguire la sua stella, la sua vocazione per conquistarsi un posto al sole nel mondo dello spettacolo.
Un diario appassionante e avvincente di un uomo che “sapeva ridere come nessun altro” e considerava un bene prezioso avere la capacità di commuoversi fino alle lacrime. Nacque attore. Fin da bambino, avvertì la vocazione artistica che gli ardeva nel cuore e gli impediva di dedicarsi ad altre attività come lo studio, difatti, a Scuola era un ciuccio al punto che in quarta elementare fu retrocesso in terza, ma lui fresco come una rosa si divertiva, si sentiva su un palcoscenico, i compagni erano il suo pubblico e si divertivano alle sue smorfie e alle sue battute: “Sono un retrocesso!”, rideva divertito. Studiare, per lui, era una perdita di tempo. Una perdita di tempo che, tuttavia, diceva la madre, solo con l’aiuto di San Gennaro e di tutti i santi messi insieme poté riuscire a conseguire la licenza elementare.
Si rifiutò di continuare gli studi, non ci fu niente da fare, ripetendo che gli piaceva fare l’attore. I genitori non erano sposati, la madre, Nannina, era bella, ma di umili origini, e il padre, Giuseppe De Curtis, era un marchese, ma povero in canna. Totò visse sempre ascoltando la voce del cuore e la sua vita fu un mosaico di passioni sulle quali prevaleva il teatro. Quando i genitori regolarizzarono la loro situazione col matrimonio e si trasferirono a Roma, iniziò la lunga carriera artistica di Totò, con la prima scrittura. Recitare era per Totò la sua vita e affrontò mille vicissitudini per riuscire a realizzare il suo sogno. Catalogava le persone per la brutta esperienza avuta durante il servizio militare in cui lui fu vittima d’un caporale cattivo, ignorante e presuntuoso. Totò sosteneva: “la gente divide l’umanità in amici e nemici, buoni e cattivi, io, invece, la divido in uomini e caporali”. Lo scrittore Curzio Malaparte, che per vendere il suo libro “La pelle” ha diffamato Napoli e i napoletani, è un caporale. Il famoso verso della Divina Commedia: “Uomini siate e non pecore matte”, io lo modifico così: “UOMINI SIATE E NON CAPORALI”.
di Alfonso Saya