
Il fatto che san Giacomo della Marca intervenisse direttamente ai fini della risoluzione di diatribe tra comunità non ci è nuovo. A tal proposito, ricordiamo le tante pubblicazioni sul tema di Giacinto Pagnani, tra le quali san Giacomo della Marca paciere tra le comunità di Monteprandone e Acquaviva Picena e san Giacomo della Marca pacificatore della Marca maceratese. Va immediatamente sottolineato come l’intervento del santo spesso fu risolutore. Un episodio particolare è quello che lega san Giacomo alla pacificazione tra Monteprandone e San Benedetto del Tronto. La diatriba era sorta per la regolamentazione dei confini nel tratto inferiore del torrente Ragnola. Il documento in questione è un atto riassuntivo della vicenda conservato presso l’Archivio di Stato di Fermo. Anche tale episodio si inserisce perfettamente nelle strategie del santo di pacificazione della Regione, si pensi, a tal proposito, ai suoi interventi volti a pacificare Visso e dintorni o alla creazione di una confederazione tra Ascoli e Fermo. La sua figura spesso ricorre nei registri delle Marche come paciere, riformatore dei costumi o delle tradizioni. Tornando a noi, l’atto in questione è scritto su foglio cartaceo (295x220mm) composto da quattro facciate. Sono scritte solo la prima e la seconda ed è ripiegato tre volte in lunghezza. Nella pagina che rimane nascosta, si legge: “Pocuct ius cancellarius”. Sopra al testo si legge: “YHS”. Sicuramente, l’atto è stato redatto in più copie, poiché ogni città chiamata in causa ne doveva avere almeno una.

La composizione dell’atto avvenne tra gli uomini del Castello di Monteprandone tutelati da Ascoli e tra quelli di san Benedetto tutelati da Fermo. Nell’atto, Monteprandone vede ridursi il territorio a favore della crescente san Benedetto. Questo atto risulta molto particolare anche per la sua struttura, poiché a differenza degli altri redatti dal santo che si conoscono, nel presente le parole di san Giacomo hanno valore di sentenza. Inoltre, questo atto, diversamente dagli altri, è stato redatto interamente in latino. Tra i testimoni: Bernardo Carota, Angeluccio Emindi, Antonio Michetti di Silvestro, Giovanni Vannetti, Giacomo Freddura di San Benedetto e Rubeo Gangalis. Lo stesso san Giacomo ci dice di aver avuto come padre un certo Antonio, che di cognome faceva Gangali. Dunque, quello in questione doveva essere uno dei fratelli di Giacomo. Tali accordi che portarono alla stesura dell’atto e alla ridisegnazione dei confini delle due città, furono presi davanti alla porta della chiesa di Santa Maria delle Grazie di Monteprandone. Analizzando il testo, si evince come san Giacomo pure essendo laureato in giurisprudenza, non padroneggia un latino fluido, i termini non sono sempre appropriati e ben scelti, l’esposizione singhiozzante, non proprio come gli atti dei notai dell’epoca. Come si evince dal testo, Giacomo, proprio come un giudice, sedeva su uno scanno di legno. Nello specifico, si stabilisce: – Che il corso della Ragnola funga da confine naturale tra le due comunità; – L’una e l’altra comunità sono libere di far pascolare il proprio bestiame nelle terre dell’altra; – Nessuna delle due comunità deve ledere l’altra; – Chiunque arrecherà danno ai cereali, alle vigne, ai legumi e agli alberi altrui dovrà ripagarli; – In caso di dissidio tra le due comunità, ognuna avrà quindici giorni di tempo per tornare sui propri passi.
Gli scontri continuarono, però, per l’appropriazione del territorio dell’attuale Porto d’Ascoli, poiché a san Giacomo, in quel momento storico, non vennero concessi sufficienti poteri per regolare la diatriba anche oltre il territorio di Monteprandone. Il conflitto fu lo specchio della secolare battaglia tra Fermo e Ascoli, che si concluse solo con l’Unità d’Italia e il ridimensionamento di Fermo in favore di Ascoli. Di seguito, alcune parti salienti della trascrizione del documento: “In Dey nomine amen. Pro sedanda aliqua differentia et discordia orta inter homines Castri Monteprandoni comitatus Asculi et homines Sancti Benedecti comitaus Firmi ratione aliquorum confinium dictorum castrorum seu predictarum civitutum. Nos frater Iacobus sopradictus pro tribunali sedente ante hostium ecclesiae Sante Marie gratiarum iuxta oppidum Montisprandoni in loco nostro residiente consueto videlicet in quodam scanno ligneo iuxta dictum hostium ecclesie prelibate positio. Et hoc ad beneplacitum et voluntatem Magnificarum Communitatum civitatis Firmi et Asculi”.
di Riccardo Renzi (1)
(1) Istruttore direttivo presso Biblioteca civica ‘Romolo Spezioli’ di Fermo.
(2) G. Pagnani, S. Giacomo della Marca paciere tra le comunità di Monteprandone e Acquaviva Picena, in “Picenum Seraphicum”, VIII, 1971, pp. 178-187; G. Pagnani, S. Giacomo della Marca pacificatore della Marca maceratese, in “Annali della Accademia dei Catenati” (1967-68), pp. 121-130.
(3) Il documento più antico che parla di Monteprandone e del suo castello risale all’agosto dell’anno 1039, quando un certo Guido massaro e un Longino ‘viros germanos’, fecero dono del borgo e della Chiesa di San Nicola di Bari al Monastero di Santa Maria di Farfa nella Sabina, che lo tenne fino al 1292 quando, spontaneamente, la popolazione per motivi di sicurezza decise di passare sotto la protezione di Ascoli. Il legame con Ascoli si fece ancora più saldo grazie a papa Giovanni XXII che, con la bolla del 13 maggio 1323, concesse in feudo perpetuo ad Ascoli “per la fedeltà e i servizi resi e in ritorsione alla ribelle Fermo”, il tratto di territorio tra il Tronto e il Ragnola, garantendo quello sbocco a mare strategico per gli ascolani e annettendo alla giurisdizione di Monteprandone quel Montecretaccio sotto il quale si sarebbe dovuto costruire il porto suddetto (Porto d’Ascoli). Il Castello di Monteprandone era inidoneo alla qualifica di ‘città’ e come comunità era rimasta sempre nel limbo del contado Ascolano e, quindi, non poteva far generare ‘nobiltà civica’. Purtuttavia, la nomina del ‘podestà’ era lasciata alla comunità di Monteprandone in una terna di tre nobili ascolani. Tra il XIV e il XV secolo, vennero annessi altri tre colli: Montetinello, Monterone e Monticelli, arrivando così ai cinque colli che vediamo oggi rappresentati nello stemma comunale.
(4) Poco si conosce sulle origini di San Benedetto del Tronto. Tradizionalmente vengono fatte risalire al XII secolo, ma dei ritrovamenti archeologici avvenuti nell’estate 2011 hanno messo in discussione l’origine medievale della città. A seguito di alcuni scavi nel Paese Alto, sono stati rinvenuti molti reperti risalenti a epoca romana, tra cui una vasca, un mosaico di tessere bianche con cornici nere e un angolo di muro di un edificio con affreschi parietali di colore rosso tipici della fase decorativa romana risalente all’età neroniana o flavia, databili fra la prima metà del I secolo a.C. e la prima metà del I secolo d.C. L’origine romana della città era già stata ipotizzata in passato, senza però alcun riscontro concreto: si riteneva che fosse sorta sul sito dell’antica città di Truentum (fondata dall’antico popolo dei Liburni), poi ribattezzata Castrum Truentinum, identificata oggi con il sito archeologico scavato alla foce del Tronto nel comune di Martinsicuro. Non si hanno, tuttavia, ancora certezze sulle reali origini della città. In attesa di ulteriori studi sui ritrovamenti, si continua ad accreditare l’ipotesi di un nucleo sorto attorno a una chiesa che avrebbe ospitato le spoglie di san Benedetto martire, soldato romano martirizzato nell’antica Cupra (poi Cupra Marittima). Del nucleo abitativo di san Benedetto, definito come Plebs Sancti Benedicti in Albula, dal nome del santo protettore e titolare della chiesa omonima, nonché del torrente che tuttora l’attraversa, si hanno tracce dall’anno 998 in un atto relativo all’investitura del beneficio dei ss. Vincenzo e Anastasio in territorio di Acquaviva Picena da parte di Uberto, vescovo di Fermo. Nel 1105, papa Pasquale II conferma il Monastero di San Benedetto al Tronto a Oderisio, abate di Montecassino di nuovo nel 1112, con altra bolla inviata al nuovo abate Tronto a Oderisio, abate di Montecassino di nuovo nel 1112, con altra bolla inviata al nuovo abate cassinense Gerardo. Il primo significativo mutamento insediativo si ha nel 1145 quando i signori Azzo e Berardo di Gualtiero ottennero l’autorizzazione dal vescovo Liberto di Fermo a realizzare un castrum sul colle ove sorge la pieve, pur nel rispetto delle pertinenze di questa. Oggetto della rivalità tra le città di Ascoli e Fermo, san Benedetto fu per secoli aspramente contesa dalle due rivali. Nel 1463, Fermo dette incarico al frate Giacomo della Marca di pronunciarsi quale arbitro nella questione e risolvere le secolari controversie fra le due città. Frate Giacomo della Marca il 3 luglio 1463 emise il suo giudizio assegnando i territori meridionali di san Benedetto, compresi tra il torrente Ragnola e il Tronto, a Monteprandone, garantendo agli ascolani uno sbocco strategico al mare; inoltre, annetté alla giurisdizione di Monteprandone il Montecretaccio, sotto il quale si sarebbe dovuto costruire l’omonimo porto (Porto d’Ascoli), ma la cui realizzazione non avverrà mai.
(5) Monogramma di Gesù.
(6) M. Buccolini, San Giacomo della Marca: la vita, la riforma religiosa e l’opera sociale, Jesi, ed. Terra dei Fioretti, 2020, p. 135.
(7) G. Caselli, Studi su S. Giacomo della Marca, vol. I, Ascoli, 1926, pp. 230-233.
(8) Archivio di Stato di Fermo, Riformanze, 1449, busta n. 4.