Diabete: a rischio per cure eccessive o inadeguate

Eccesso di trattamento o al contrario cure non adeguate per mantenere un buon controllo glicemico nel tempo: è questa, talvolta, la situazione che si riscontra nella gestione dei pazienti diabetici, per i quali si dovrebbe puntare, invece, a un controllo personalizzato della malattia, a seconda dell’età e delle caratteristiche del singolo paziente. Lo suggerisce uno studio condotto presso la Mayo Clinic di Rochester e pubblicato sulla rivista BMJ Open Diabetes Research & Care, utilizzando dati relativi a oltre 194 mila pazienti con diabete di tipo 2 e tenendo conto di diversi parametri (terapie usate, glicemia, complicanze, ‘emoglobina glicata’, e una misura del controllo glicemico a lungo termine, importante per vedere se il paziente gestisce bene la malattia nel lungo periodo; in tal caso, il valore dell’emoglobina glicata è pari o inferiore a 7). “Si tratta di uno studio interessante, c’è da dire, però, che, a differenza di quanto avviene in Usa, dove il diabete è gestito dai medici di famiglia, in Italia in oltre il 50% dei casi i diabetici sono seguiti da strutture specialistiche di diabetologia e c’è una sensibilità molto più alta verso la personalizzazione delle cure”, spiega Agostino Consoli, presidente eletto della Società Italiana di Diabetologia; “cionondimeno, non è chiaro se anche in Italia si possa riscontrare un trend simile a quello osservato in questo studio”.

Dal lavoro, è emerso che, paradossalmente, a presentare i livelli più alti di emoglobina glicata (che significano che la malattia non è ben controllata) – con una media di 7,7 – erano proprio i più giovani (18-44 anni) che avrebbero, invece, bisogno di un controllo glicemico più stringente, mentre quelli coi livelli più bassi di glicata – in media 6,9 – erano i 75enni e over-75. Inoltre, gli anziani sono risultati, troppo spesso, essere trattati con insulina e sulfoniluree, una classe di farmaci che non protegge dalle ipoglicemie e che è, ormai da tempo, sconsigliata per quei pazienti che soffrono anche di altre malattie (comorbidità), come accade tipicamente nel paziente anziano.

Ciò che è peggio – sottolinea l’autrice dello studio, un’endocrinologa della Mayo Clinic, Rozalina McCoy – è che a essere trattati in modo più intensivo sono proprio i pazienti più a rischio di essere danneggiati da un eccesso di cure (quindi, più a rischio di ipoglicemie)”. “E, allo stesso tempo – continua –, i pazienti che beneficerebbero di un trattamento più intensivo, spesso, non ricevono nemmeno le cure di base. Il disallineamento dell’intensità terapeutica rispetto ai bisogni reali dei pazienti è risultato veramente dirompente”, afferma. Idealmente, ogni paziente dovrebbe avere obiettivi personalizzati e ricevere regimi terapeutici su misura, spiega. “I pazienti più anziani o quelli con altre malattie e, quindi, più a rischio di ipoglicemie (che per loro sono, peraltro, ancora più pericolose di un aumento degli zuccheri nel sangue), vanno trattati in modo meno aggressivo; al contrario i pazienti giovani, che, peraltro, avendo tanti anni di malattia davanti a sé sono quelli che beneficiano di terapie più intensive”, conclude McCoy.

Pur tenendo conto che questo tipo di studi ha una serie di potenziali bias – sottolinea Consoli –, quello che preoccupa di più nei suoi risultati è che nei soggetti anziani si usino ancora farmaci sconsigliati per questa fascia d’età e si usa troppo l’insulina”. Le sulfoniluree non dovrebbero essere usate nelle persone anziane, continua Consoli, dell’Università di Chieti-Pescara, “perché si associano a un pesante rischio di ipoglicemia e non hanno documentati effetti protettivi nei confronti delle più comuni comorbidità, come le malattie cardiovascolari. Esistono, di certo, terapie più moderne e più sicure per questi pazienti critici”. (Ansa)