In questo periodo storico – Fase due della pandemia da Covid-19 – sentiamo parlare, frequentemente, di sanificazione. Abbiamo incontrato l’ingegnere civile Fabio Martorana, esperto del settore, per capire di cosa si tratti e come vada fatta per avere la massima efficienza ed efficacia. Il tecnico siciliano – originario di San Cataldo in Provincia di Caltanissetta – con la sua azienda che ha sedi in Lazio e in Lombardia, opera su tutto il territorio italiano. Gli abbiamo chiesto spiegazioni in materia di sanificazione degli ambienti di lavoro e in materia di gel igienizzanti e dispositivi di protezione individuali (DPI).
Ambienti di lavoro e sanificazione. Come si effettua e quando per risultati ottimali?
“La sanificazione ‘completa’ in un ambiente di lavoro è un’operazione volta all’eliminazione di qualsiasi agente patogeno e contaminante che, spesso, con le comuni operazioni di pulizia e disinfezione ordinaria non possiamo ottenere. L’obiettivo primario è quello di ristabilire quanto più possibile una condizione igienico-sanitaria ideale, garantendo, al contempo, l’inattivazione di batteri e protozoi, di tutti i virus e tra questi quello che, in questo momento storico, ci fa temere per la nostra vita, il Covid-19”.
Può spiegarci meglio?
“Innanzitutto, dopo aver effettuato un’accurata valutazione specifica del rischio di contagio e infezione cui possiamo essere sottoposti, guardando al tipo di attività, alla densità di frequentazione, alle distanze di separazione e uso comune di determinate attrezzature e/o strumentazioni, è importantissimo capire quali sono i prodotti e le sostanze chimiche adatte per una buona sanificazione. Entro nel dettaglio definendo alcuni punti. Preliminarmente, bisogna considerare l’obiettivo della sanificazione: macchinari, uno spazio confinato, un intero locale; poi, individuare i requisiti richiesti, valutare se un ambiente necessita o meno di una sanificazione continua nel tempo mantenendo valori limiti di esposizione Tlv (Valore limite di soglia) entro una determinata soglia e, infine, scegliere i prodotti sempre in funzione dei requisiti richiesti. Definiti i prodotti, le modalità di esecuzione per una sanificazione completa, si prevedono, inoltre, l’uso di particolari attrezzature quali atomizzatori a spalla, atomizzatori e generatori di ozono che garantiscono un’erogazione diretta dell’agente sanificante sulle superfici ‘bersaglio’”.
Quali sono le sostanze chimiche che possono essere utilizzate per la sanificazione?
“Le più comuni e utilizzate sono l’‘ipoclorito di sodio’ e il ‘perossido di idrogeno’ (comunemente noto come acqua ossigenata) e/o prodotto a base alcolica contenenti sali quaternari di ammonio e clorexidina, tali sostanze disinfettanti, però, riescono a essere efficaci solo in determinate condizioni. Per la loro massima efficacia, è necessario utilizzare panni monouso per evitare ulteriori ed eventuali contaminazioni, di rilevante importanza, essere precisi nel dosaggio e/o miscelazione in acqua. Per trattamenti degli ambienti, dell’aria, dei locali e per la sanificazione totale anche l’uso di gas naturali come l’ozono risulta efficace. Questo tipo di intervento, però, deve essere svolto solo da personale altamente specializzato”.
La sanificazione quante volte deve essere effettuata?
“Quando si parla di sanificazione è importante eseguire una classificazione in base alla cadenza temporale con la quale va effettuata in base ad alcuni parametri che spiegherò dopo quella che posso definire una classificazione. Sanificazione continua: mediante l’utilizzo di agenti chimici sanificanti come ipoclorito di sodio e acqua ossigenata da effettuare, costantemente, sulle attrezzature, macchinari e superfici con le quali si entri in contatto durante i turni di lavoro. Sanificazione giornaliera: da effettuare, preferibilmente, al termine della giornata lavorativa negli ambienti e nei locali occupati durante il turno di lavoro, spaziando dagli uffici ai bagni. La si esegue lavando i pavimenti, il mobilio, gli arredi, le apparecchiature elettroniche come superfici dei telefoni e monitor e anche maniglie delle porte e macchinari come i distributori di alimenti e bevande. Sanificazione settimanale: effettuata, generalmente, prima del riposo settimanale avendo cura di eseguire con maggiore attenzione tutto ciò che è stato attuato con la sanificazione continua e giornaliera, per evitare, soprattutto, l’insorgere di punti o zone non opportunamente sanificate durante le operazioni giornaliere. Sanificazione mensile: che consiste nella sanificazione totale dell’ambiente di lavoro; oltre all’abbattimento di virus, batteri, microrganismi, protozoi, permette di ristabilire tutte le condizioni igieniche idonee. Si valuta il tipo di attività, le dimensioni e le superfici di ventilazione e, soprattutto, se questa presenti o meno un’elevata densità di accesso da parte del pubblico. Nel caso, per citare un esempio, di un supermercato può essere opportuno effettuare una sanificazione totale anche ogni settimana”.
Lei quale prodotto suggerisce per una sanificazione ‘completa’?
“Ci sono tanti prodotti che possono essere utilizzati, come per esempio i Pmc (Presidi medici chirurgici), ma anche l’ozono: un gas naturale che presenta un’ottima potenzialità di abbattimento, mediante ossidazione di virus, muffe, funghi e spore senza rilascio di residui chimici essendo questo una forma allotropica dell’ossigeno che ritorna tale dopo un determinato periodo. Alcuni recenti studi – condotti dal Comitato Nazionale Sicurezza Alimentare (CNSA) – hanno dimostrato, infatti, l’efficacia dell’ozono come agente per il trattamento dell’aria in ambienti per la stagionatura dei formaggi. Il suo elevato potere ossidante e la sua tendenza a ritornare ossigeno puro lo rendono un prodotto a elevate prestazioni per la sanificazione degli ambienti. Poi, mi soffermerei su un altro aspetto importantissimo che riguarda il settore alimentare, sarà necessario utilizzare un prodotto biocompatibile e, soprattutto, biodegradabile, per ovvi motivi legati alla corretta gestione degli alimenti. È importante, infine, che chi operi interventi di sanificazione completa mediante ozono sia personale specializzato e che abbia conoscenza di alcune nozioni fondamentali quali le quantità espresse in grammi su m3, i tempi di decadimento dell’ozono e la relativa trasformazione in ossigeno e che indossi, a sua volta, dispositivi di protezione individuale idonei a tale intervento dal momento che si tratta dell’utilizzo di una sostanza che, alla pari degli altri disinfettanti chimici, potrebbe essere dannoso se non usato nella maniera corretta”.
La sanificazione con ozono dei veicoli segue le stesse caratteristiche di quella degli ambienti o potrebbe essere inefficace?
“Lo studio del Ministero con parere del CNSA del 27 ottobre 2010 – di cui parlavo prima – ci dice che l’azione ossidante esplicata dall’ozono abbia fatto sì che, sin dalla sua scoperta, fosse utilizzato come agente battericida, fungicida e inattivante dei virus. È stato utilizzato, inizialmente, come agente disinfettante nella produzione di acqua potabile, in Francia, dal 1906, e in Germania, dal 1972. La scelta dell’ozono fu basata sul fatto che esso è più efficace di altri disinfettanti verso un più ampio spettro di microorganismi. È noto, infatti, che l’inattivazione dei virus avviene rapidamente in seguito a ozonizzazione, anche se richiede una somministrazione di gas a concentrazioni superiori rispetto a quella necessaria per i batteri (Kim et al., 1999). Si è osservato, infatti, che le curve di inattivazione mostrano un rapido abbattimento delle colture fino al 99%, il restante 1% richiede un tempo maggiore per la totale inattivazione. Rispondo, invece, a chi sostiene che l’ozono è tossico, sicuramente sì, visto che è proprio la sua caratteristica di ossidazione a renderlo tale, ma se usato correttamente da personale qualificato e ben addestrato non è più tossico di un comune disinfettante chimico che in più lascia residui nelle zone trattate”.
Il rischio di contagio può essere limitato anche attraverso la giusta informazione e formazione?
“Quando si parla di rischio, sappiamo bene che è possibile limitarlo, ma non eliminarlo del tutto perché le variabili in gioco possono essere molteplici entrando in campo, soprattutto, il ‘fattore umano’. Quest’ultimo, data l’emergenza attuale, gioca un ruolo fondamentale. Generalmente, le strade che si percorrono per l’abbattimento al minimo di un rischio di contagio, ma in generale per qualsiasi rischio legato all’attività lavorativa, sono quelle della ‘prevenzione’ e della ‘protezione’. La prima forma di prevenzione è, sicuramente, l’informazione e la formazione ai sensi degli art. 36 e 37 del D.lgs. 81/2008, che stabilisce degli equilibri aziendali tali da fornire al personale le informazioni richieste, consolidarle e garantirne l’apprendimento di nuove. La formazione in materia di igiene e sicurezza è importante non solo per chi opera all’interno del luogo di lavoro, ma anche per poter intervenire prontamente sulle corrette modalità di esecuzione delle relative disposizioni di legge da parte del pubblico che accede all’interno della struttura. Nella lotta contro il Covid-19, come prima azione di informazione, risulta importantissima l’affissione di cartelli dove siano indicati i corretti comportamenti da seguire all’interno di un ambiente di lavoro”.
Potrebbe sintetizzare questi comportamenti in una linea guida?
“Una linea guida, seppur non esaustiva, è certamente: – rilievo della temperatura tramite scanner e/o termometro prima dell’accesso all’interno dei luoghi aziendali; – non entrare in un qualsiasi ambiente lavorativo senza aver indossato prima la mascherina per proteggere naso e bocca; – una volta all’interno del luogo di lavoro, mettere a disposizione del personale un dispenser con disinfettante per lavarsi le mani. È consigliabile ripetere, opportunamente, il lavaggio delle mani più volte durante l’orario lavorativo; – evitare il contatto diretto con le persone, avendo cura di rispettare la distanza minima di separazione di almeno un metro; – evitare assembramenti all’interno di uno stesso locale o spazio comune; – è indispensabile evitare qualsiasi tipo di contatto per chiunque presenti sintomi di infezioni respiratorie acute, abbia febbre o sintomi che possono ricondurre al Covid-19; – reingegnerizzazione dei luoghi di lavoro creando opportuni elementi di separazione, come superfici in plexiglass, per limitare al minimo le probabilità di contaminazione; – sanificare sempre le superfici e le attrezzature con disinfettanti dopo il loro utilizzo; – coinvolgere il medico competente per le procedure di reintegro sul luogo di lavoro del personale dopo un periodo di convalescenza influenzale e/o sintomatologia riconducibile al Coronavirus. A seconda, poi, del tipo di operazione e intervento, il rischio di esposizione a un possibile contagio diretto può richiedere misure di ‘protezione’ più stringenti tali per cui si ritiene fondamentale l’uso di idonei dispositivi di protezione individuale (dpi), quali camici idonei usa e getta, tute e calzari, mascherine ad alta protezione”.
A proposito di igienizzanti, cosa dobbiamo leggere sull’etichetta per un acquisto sicuro?
“In primis, devono, obbligatoriamente, riportare in etichetta le diciture: Prodotto Biocida – Autorizzazione del Ministero della Salute o Autorizzazione UE n° /../.. AUT (ai sensi del Reg. UE n° 528/2012). Oppure: Presidio medico chirurgico Registrazione n° … del Ministero della Salute, pertanto, senza l’indicazione della specifica autorizzazione di cui ai punti precedenti, non sono da considerarsi come prodotti con proprietà disinfettanti/biocidi, bensì come prodotti detergenti e, in quanto tali, immessi in commercio come prodotti di libera vendita”.
Per quanto riguarda le mascherine, possiamo approfondire l’argomento? Quale tipo di mascherina deve essere utilizzata negli ambienti di lavoro?
“Esistono diverse tipologie di mascherine, con diversi livelli di protezione. Per le strutture ospedaliere e sanitarie, dove il rischio di contrarre infezioni da Covid-19 è elevato, consiglio, sicuramente, l’utilizzo delle FFP3 (facciale filtrante). Queste maschere respiratorie possono essere utilizzate in ambienti di lavoro nei quali il valore limite di esposizione, detto anche Tlv, viene superato fino a 30 volte il valore specifico del settore e che sono in grado di abbattere e filtrare fino oltre il 99% delle cariche virali e batteriche. Forniscono, pertanto, altissime prestazioni come misura protettiva contro il rischio di contagio. Negli altri ambienti di lavoro, invece, dove non è presente un rischio specifico, bensì un rischio generico, può andare bene anche la mascherina chirurgica, realizzata, preferibilmente, in tessuti ipoallergenici e idrorepellenti, in grado di garantire un’adeguata filtrazione batterica (Bfe > 95%), sia contro aerosol solidi e liquidi, che costituiscono i principali vettori di diffusione del Coronavirus. Inoltre, è importante ricordare che anche se il DPCM ha autorizzato la produzione e la vendita in deroga alla certificazione della Comunità europea, restano, comunque, obbligatori i test di laboratorio che, secondo la norma Uni En Iso 10993-1:2010 e la norma Uni En 14683:2019, dovranno essere eseguiti per stabilire la corretta efficienza ed efficacia filtrante delle mascherine prodotte; sconsiglio l’uso di mascherine che non abbiano effettuato tali test e non siano state, quindi, autorizzate dall’Istituto superiore di sanità”.
di Sonia Giugno