“Ogni scuola cattolica che chiude, ogni giornale cattolico che si ‘spegne’ indebolisce il principio del pluralismo e impoverisce il patrimonio editoriale e culturale del Paese”. L’ha detto l’on. Andrea Martella, sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri commentando la notizia della chiusura di alcuni settimanali diocesani che “stanno come d’autunno sugli alberi le foglie”. Un tempo, erano foglie verdi e floride, trasmettevano messaggi di vita e di speranza, centri di educazione e fari di civiltà, fucina di talenti e luoghi privilegiati di formazione. L’emergenza per il Covid-19, la carenza di risorse economiche, il mancato sostegno dello Stato per le scuole paritarie, la crisi della carta stampata hanno dato il colpo di frusta che ha determinato la chiusura definitiva di numerose testate diocesane e la non riapertura, a settembre, di tante scuole cattoliche anche a causa delle problematiche connesse alla prevenzione anti-Covid-19. Fari di luce che si spengono, centri di aggregazione e di formazione cristiana che si svuotano e restano nel buio.
Eppure, la libertà di scelta educativa, la libertà di stampa sono principi e valori sanciti dalla Costituzione, segno e testimonianza di pluralismo culturale, di democrazia sociale e di apertura ai problemi del mondo. La volontà di mantenere in vita gli strumenti della comunicazione sociale con i quali le Chiese, in Italia, da oltre un secolo intrattengono un dialogo aperto con il mondo, appare, oggi, un desiderio soffocato dalle contingenze economiche e amministrative e nella valutazione delle priorità prevalgono unicamente le ‘urgenze di carattere economico’. Il presidente della FISC (Federazione Italiana Settimanali Cattolici), Mauro Ungaro, ha evidenziato come siano tante le testate storiche di gloriosa tradizione che hanno chiuso, facendo venir meno “un’espressione di carità culturale a servizio di tutta la comunità ecclesiale e civile”. Così pure, suor Anna Monia Alfieri, paladina della scuola paritaria e sostenitrice del “costo standard per studente” – nonostante le numerose battaglie condotte tra i gruppi parlamentari – è riuscita a ottenere un modesto riconoscimento economico a vantaggio delle scuole paritarie, non sufficiente, però, a garantire la riapertura di tutte le scuole cattoliche.
Per molte di esse, le Congregazioni hanno deliberato la chiusura, mentre ridotto personale religioso si dedicherà ad altre opere: ciò farà venir meno l’importante sostegno all’educazione e alla formazione cattolica nelle scuole, carisma e impronta che resta impressa nella crescita degli studenti. Certamente, non è un obbligo per una Diocesi avere un giornale e neppure un’emittente televisiva, una radio o una presenza online, ma l’uso di tali mezzi di comunicazione offrirebbe enormi possibilità per far giungere a tante persone il messaggio e il pensiero della Chiesa sulle molteplici emergenze sociali e culturali, sui nuovi modelli sociali pubblicizzati come “conquiste di civiltà e di progresso” e che, invece, segnano spesso una penosa involuzione di valori e stili di vita. I settimanali cattolici rappresentano un baluardo dei valori cristiani – oggi, soffocati dal dilagante relativismo – e occupano uno spazio espressivo nel dibattito culturale: diventano “voce di chi voce non ha”, accendendo i riflettori sugli ultimi, sui poveri, sugli emarginati, costituendo un forte e pressante richiamo alla dignità della persona umana che non può essere considerata scarto o rifiuto da emarginare.
I mass media, se ben utilizzati, sono un faro luminoso, strumento di apostolato e di missionarietà della Chiesa in cammino, generano prossimità e agevolano la risposta ai bisogni del mondo di oggi. Essi permettono di arrivare dove spesso la parola della Chiesa e dei suoi pastori, non arriva. È questo il segno di una presenza viva e originale che mette al centro, sempre e comunque, la persona in quanto tale e propone valori cristianamente ispirati, protesi alla ricerca del vero bene comune e della crescita sociale della comunità cittadina, parrocchiale, di quartiere. Durante i mesi di lockdown, tutti abbiamo compreso il valore dei mezzi d’informazione e il conforto della fede è pervenuto nelle famiglie anche grazie alle tecnologie di nuovi social, facendo recuperare il senso del mistero della vita, del dolore e della solidarietà umana. I settimanali cattolici non cercano il clamore del titolo urlato o della notizia d’effetto che attira e incuriosisce il lettore, ma gli articoli espongono fatti, idee e principi che informano e aiutano a pensare e a riflettere prima di agire, senza restare schiavi, condizionati dalla moda o dalla prassi comune.
Un buon giornalista cattolico è al servizio dei lettori, “offre acqua pulita alla gente che desidera costruire un mondo migliore”, comunica e trasmette sempre notizie genuine e non adulterate; da vero paladino della verità – come recita la preghiera del giornalista, scritta da mons. Angelo Comastri – “non vende la sua libertà al calcolo dell’interesse e del potere, racconta la verità con lo stile sapiente della carità per allargare la casa della speranza”. Questo modo di fare giornalismo non è sempre riscontrabile altrove, dove spesso i condizionamenti della direzione e della linea politica della testata determinano linguaggi e stili palesemente di parte. Nell’agorà di oggi, la comunità cristiana può permettersi di rinunciare a fornire una sua lettura? Può rischiare l’afonia in un contesto in cui è facilissimo essere manipolati o male interpretati? Può lasciare il lettore nella confusione e nel dubbio quando vengono “violati” i valori irrinunciabili della dignità umana? Può consentire che un presidio di scuola cattolica muoia nel silenzio, nell’abbandono, nell’oblio, cancellando pagine gloriose di storia sociale e culturale? Sono tutti interrogativi sui peccati di omissione che interpellano la comunità ecclesiale. Il magistero dei Papi e i documenti della Chiesa, da decenni, sostengono e danno risalto al valore di una “presenza” che si apprezza ancor di più quando vien meno. Il linguaggio di Papa Francesco (udienza del 23 giugno) risulta particolarmente incisivo perché denso di una forte efficacia comunicativa: “Ciò che importa è la franchezza e il coraggio della testimonianza, della testimonianza di fede”. Quattro termini sono fondamentali per affrontare le prove che la vita. La franchezza e il coraggio si nutrono di “testimonianza” che consente di non cedere ai compromessi del male, ma di rendere vivo e incarnato il messaggio del Vangelo.
di Giuseppe Adernò