Pascoli e la perduta nostalgia del Natale

Il grande Giovanni Pascoli, che ha insegnato nella nostra Università, fu, insieme al Carducci, il poeta dell’Italia Sabauda. Seppe esprimere, in alcuni versi indimenticabili, la nostalgia del Natale perduto di un tempo e la inconsunta bellezza di queste feste, anche oggi, nonostante tutto. Invito a leggere “Le ciaramelle”, una poesia composta a Messina, versi che non possono non lasciare estasiati sol che si abbia un po’ di sensibilità. (“Udii tra il sonno, le ciaramelle, / ho udito un suono di ninne nanne / ci sono in cielo tutte le stelle, / ci sono i lumi nelle capanne. / Sono venute dai monti oscuri/ le ciaramelle senza dir niente; / hanno destata nei suoi tuguri, / tutta la buona, povera gente”). Tra l’altro, la parola ciaramella è tratta dal nostro bel dialetto messinese e grazie a questa poesia è entrata d’ufficio nel vocabolario italiano. Questi versi indimenticabili, esprimono l’infinita tristezza di una umanità che vive senza Cristo. È arcinota la poetica del fanciullino del Pascoli, sognava di tornare un bambino, per ritrovare la Fede nel Bambino Gesù della sua infanzia e lo stupore e la meraviglia per ogni cosa, che caratterizza la giovinezza. Egli risente della malinconia e la nostalgia, struggente, della semplicità, delle “piccole cose” e, in esse, si rincattucciò per consolarsi…. Con i Canti di Castelvecchio (1903), venne la celebrità. In questi Canti dedicati alla madre, esprime il pensiero dominante che la poesia è la sola consolazione per gli esseri umani.

La poesia è uno sfogo in cui riaffiorano i ricordi e il poeta nei suoi versi quasi riesce, impossibile si direbbe, a evocare la musicalità e profondità della “voce della mamma” che risuona alle sue orecchie, e sente quel diminutivo in dialetto romagnolo con cui lo chiamava: “Zvanì” e lo pregava di “vivere e d’essere buono” in questa, “prona terra, in cui, come dice lui, nella poesia , “I due fanciulli”, troppo è il Mistero, / e solo chi procaccia di aver fratelli, nel suo timor non erra… ed invoca la Pace. “Pace, fratelli, e fate che le braccia che ora tenderete ai più vicini, non sappiano la lotta e la minaccia e veda voi, dormir nei lini, placidi e bianchi, quando non intesa, quando non vista, sopra voi si chini la morte con la sua lampada accesa”. Perduta la madre terrena, non c’era, per il poeta, nessun conforto tranne la presenza materna della Madonna. Non si può, al riguardo, ignorare la “Vena mariologica” del Pascoli, implicita in “Digitale purpurea” ed esplicita nella poesia, “Purificazione” scoperta negli Archivi di Messina.

di Alfonso Saya