Tortore fra i Carrubi

Sul finire di un agosto di diversi anni fa, mi trovavo in ufficio, fra il caldo dell’estate siciliana, le scartoffie e i mille problemi lavorativi. Un pensiero mi portò a telefonare al ragioniere della segreteria della Federcaccia, occorreva essere in regola col porto d’armi, tasse varie e tesserino venatorio-assicurativo per l’apertura della stagione di caccia che, solitamente, avveniva nell’ultima domenica di agosto. Già… l’apertura! Quello era un impegno d’onore con se stessi per essere presenti, per far parte di quel flusso migratorio di cacciatori che attendevano con ansia quell’evento. Quell’anno, mio figlio Biagio Junior, mi disse: “Vengo anch’io!”. Quella richiesta mi rese felice. Ennio, Angelo e Franco vennero contattati, immediatamente: “Dove si va?”. C’era poco da scegliere: “A tortore”. “Noi andiamo una settimana prima – disse Ennio –, poi, vieni tu a Villa Vela (Siracusa), faremo delle esplorazioni per trovare il posto giusto con le tortore”. Certo, le tortore, gli uccelli del sole, in agosto sono una preda ambita, assieme alle quaglie e ai colombacci. Così, il sabato prima dell’apertura io e Biagio, di buon’ora, sulla nostra Panda 4×4 imboccammo l’autostrada Messina-Catania-Siracusa e, poi, diritti alla volta di Noto, a Villa Vela e Villa Maria di Ennio che, neanche a dirlo, era già pronto col pranzo: merluzzi di paranza acquistati a Marina di Modica. Ennio aveva la casa piena di ospiti e, parenti compresi, il fratello Corrado con figlio Giuseppe (già, Giuseppe e Biagio Russo i nomi di mio padre e dello zio Peppino, padre di Ennio e Corrado). Alloggiammo al vicino convento di Santa Maria La Scala, di padre La Pira, una fortezza dove si stava, veramente, bene. La serata passò tra amici ritrovati e le lunghe discussioni sul posto dove andare, le esplorazioni precedenti erano state alquanto deludenti, infine, la decisione suprema: Marina di Noto, appena dentro a un immenso carrubeto.

Il mattino col buio si sarebbe partiti, superata la città di Noto, alla volta di Vendicari e, poi, lasciato il mare dentro il carrubeto a piedi tra sentieri e trazzere nei campi delimitati dai caratteristici muri a secco di bianca pietra. Ci appostammo sotto un carrubeto e si attese l’alba nel silenzio, in una pausa che ci fece cogliere il momento magico della caccia e del contatto con la natura. Così, arrivarono le prime tortore: “Supra!” – urlò Ennio a Franco, che, regolarmente, non intendeva lasciar scappare l’occasione. Sfrecciavano velocissime le tortore: andavano incontro alla pastura. Appostati sotto l’ospitale carubbo, tentammo qualche tiro: qualcuna cadde; mio figlio Biagio azzeccò il suo primo tiro; raccolse selvatico dopo qualche difficoltà per i rovi, dove vi cadde all’interno guardando ammirato: era la sua prima tortora! Il passo si dimostrò scarso, il sole cominciava a picchiare, erano poche e impaurite le tortore; ci spostammo nelle zone dei grandi campi coltivati a pomodori, peperoni e melenzane; vi era l’irrigazione a pioggia e con l’acqua si notava un certo movimento di uccelli. Infatti, riuscimmo a mettere a segno qualche altro colpo. Biagio fece suo un colombaccio, che, però, doveva contendere strenuamente insieme a un cirneco sbucato dai cespugli che era al seguito di un cacciatore conigliaro. Il cirneco, redarguito dal padrone, cedette a malincuore la preda.

di Armando Russo