Quando, di tempo in tempo, sistemo la mia camera conventina, spesso emergono delle bellissime sorprese. Come, per esempio, queste note che, con grande cuore, voglio condividere con voi oggi. Fraternamente ovviamente! Che bello quando il giorno dell’incontro della preghiera si avvicina! Questo tempo è talmente bello perché si vive insieme una profonda esperienza di Dio, in silenzio e nella benedetta solitudine. Ricordiamo quello che dice il Signore nel libro del Profeta Osea: “Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Le renderò le sue vigne trasformerò la valle di Acòr in porta di speranza. Là canter come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto (Os 2, 16-17)”.
Allora, gli obiettivi principali di quel singolare incontro, furono esattamente due: il primo, l’incanto di Dio. E il secondo, il recuperare l’incanto della vita. Quando lessi quella magica parola, incanto, mi è venuta la riflessione del filosofo e poeta del movimento ambientale statunitense, Derrick Jensen, quando scrisse: “Noi abbiamo un bisogno di incanto che è profondo e sacro quanto il nostro bisogno di cibo e di acqua”. Ovviamente, recuperare l’incanto di Dio significa stare molte ore con Colui, che so che mi ama. Cioè, e in pratica, questo vuol dire stare con Lui come un amico sta con un altro amico, come un figlio amato con il suo padre amatissimo, in una grande amicizia, nella fede e nell’amore e nel silenzio interiore. L’incanto di Dio ci mette in una grande quiete, sentendo che Lui sta con me ed io con Lui. Ecco, perché in quel incontro singolare di preghiera, tutti noi volemmo incontrarci con Dio ma anche con noi stessi.
Ebbene, recuperando l’incanto di Dio si recupera anche l’incanto della vita. Purtroppo, ci sono persone che vanno per il mondo e che hanno perso il senso della vita spirituale. Questo accade perché hanno perso la gioia di vivere per Gesù e come Gesù. Quindi, durante quei giorni di silenzio speciale ci impegnammo ad installare nel più profondo della nostra anima, una fonte di gioia, di eterna felicità, che è Dio stesso. Insieme, come la famiglia di Cristo, cerchiamo di pensare come Gesù pensava, sentire come Gesù sentiva, parlare come Gesù parlava, perdonare come Gesù perdonava, reagire come Gesù reagiva, insomma amare come Gesù amava. Ci augurammo con tutto il nostro cuore che ognuno di noi, tornando alla propria vita, vi ritorni come una creatura nuova, forte, libera e gioiosa. Naturalmente, dopo aver lasciato lo Spirito Santo scacciare dal proprio cuore le paure, le angustie e le tristezze. È quando questo succede, noi saremo una creatura realmente forte, libera e gioiosa.
L’esperienza di Dio ci richiese di vivere quel periodo di grazia con grande pazienza e generosità. Ma, e ringraziando sempre il Signore Iddio, il frutto di quella esperienza fu la gioia profonda. Che cosa si aspetta quando si incontra Dio, la sorgente della gioia e della vera vita? Dopo di tutto, l’esperienza di Dio realmente si fa quando si invoca su di sé i doni dello Spirito Santo. È, così, che si è ripreso e concluso questo pellegrinaggio di fede e di amore. Tutto ciò mi ha fatto ricordare quello che scrisse la mistica, medico e autrice svizzera, Adrienne von Speyr (1902–1967): “Quando Dio parla, nella preghiera, col credente, si fa a lui percepibile, ma la sua parola contiene di più di quello che è percepito, di modo che l’orante può attingere, dalla parola accolta, sempre qualcosa di nuovo. Lui stesso trova la sua parola insufficiente per dire a Dio quello che potrebbe dire, ma confida che Dio, dalla parola timida e goffa, capisca quello che vuole: tutto il contenuto della sua fede. E quando si ricorda che Cristo è la parola, allora questa parola diventa per lui mediazione: la parola di Dio si realizza per lui in Cristo: quel che il Padre ha da dirgli ha trovato piena espressione nel Figlio incarnato, ed egli ha bisogno soltanto di contemplare il Figlio pregando, per avere parte alla pienezza del suo essere-parola”. Quante grazie ho ricevuto durante la sistemazione della mia camera conventina!
di Fra Mario Attard