Riflessioni a margine della conversazione con Antonio Presti sul tema ‘Mecenatismo e Filantropia: una scommessa vinta’

La materia poteva non esserci

Su iniziativa dell’Associazione Il Circolo di Via Garibaldi (Messina), si è tenuto, nei giorni scorsi, un incontro che ha offerto l’opportunità di ascoltare Antonio Presti, Mecenate e Filantropo. La conversazione è stata introdotta dal presidente del Circolo, professor Francesco Trimarchi, il quale, per non togliere spazio al prestigioso relatore, ha brevemente tracciato un profilo sintetico, ma esaustivo dell’ideatore di ‘Fiumara d’Arte’, un parco di sculture all’aperto, in cui Antonio Presti ha messo in rete i dieci Comuni che insistono sulla Fiumara di Tusa donando loro opere nelle quali i visitatori possono cogliere arte e cultura, magia del paesaggio, emozioni uniche regalate dalla bellezza. Sono opere monumentali donate alla collettività e, se questo progetto inizia con la prima scultura ‘La materia poteva non esserci’ di Pietro Consagra, 1986, e si conclude con la creazione, nel 2010, dell’ultima scultura di Mauro Staccioli, la Piramide-38° Parallelo, non si può certo dire che l’impegno di Antonio Presti si sia esaurito qui. La scommessa e la sfida che sono diventate il suo credo, lo portano a Catania dove, coinvolgendo bambini e mamme, realizza una grande opera nel quartiere Librino; si impegna poi nel tentativo di salvare il villaggio ‘Le Rocce’ di Taormina; dà vita a un progetto da realizzare nella Valle dell’Alcantara con l’obiettivo di costruire un’altra opera monumentale, sicuramente una nuova meraviglia.

Va senz’altro detto, a questo punto, che in tempi bui come quelli che stiamo vivendo, sono pochi coloro i quali, in quanto cultori della bellezza come Antonio Presti, diventano costruttori e messaggeri di un umanitarismo filosofico di notevoli proporzioni, e ascoltandolo, senti una storia affascinante, fatta di scelte che sembrano incomprensibili e che portano una persona a diventare ‘uno che esce fuori dal coro’, uno che diventa scomodo e incompreso persino nell’ambito familiare, uno che si scontra con un mondo che lo guarda con diffidenza, uno che però non molla e che diventa ‘unico’. L’unicità di Antonio Presti sta nelle opere che ha fatto realizzare per obbedire a un bisogno di ricerca della bellezza, sta in quella sua ostinata volontà di combattere contro le brutture che il modernismo ci regala e alle quali contrappone artisti e iniziative che solo una mente geniale può pensare, progettare, ‘vedere’.

‘Vedere’, appunto, perché l’uomo di oggi, come il relatore sostiene, guarda e non vede, volge gli occhi in basso e non guarda in alto, non scorge quindi la luce che è messaggera di pace e di bellezza, vive un’esistenza in cui manca la comunicazione e la capacità di rapporti umani. La società attuale è priva di principi etici – dice il mecenate – e stiamo dando vita, in nome di una tecnologia esasperata, a una generazione che entra in crisi se non ha lo smartphone di ultima produzione, che non ha storia perché non conosce la Storia, che non ama i libri, che non ha cultura perché si nutre di edonismo e vive in un perenne culto di sé. È molto importante, invece, capire quei messaggi che ti vengono dalla natura, cercare il significato profondo della bellezza che si può cogliere anche in una sorgente d’acqua, che non ‘sorge’, ma – come dice Antonio Presti – nasce, viene alla luce per incontrare la Madre Terra.

E bisogna creare le condizioni, affinché ci possa essere l’incontro fra la luce e la terra, auspicare che gli uomini sappiano cogliere il profondo significato che un’opera nasconde e il messaggio che vuole trasmettere; è importante, quindi, che l’umanità impari a ‘vedere’ se non vogliamo che il futuro sia fatto solo di vuoto. Utilizzando soltanto smartphone e altri strumenti simili, rimarremo privi del nostro pensiero, non avremo più fantasia, ma vivremo con la fantasia degli altri e quando dovremo inviare un messaggio ad un amico, utilizzeremo i ‘cartoni animati’ o il ‘predefinito’. Educare, dunque, alla bellezza diventa un imperativo per noi che costituiamo l’anello fra il passato e il futuro, educare a ‘guardare’ per ‘vedere’ deve assumere la valenza di un impegno fattivo e produttivo, se non vogliamo che le generazioni future siano masse incolori, senza capacità di pensiero proprio, che non sanno comunicare perché non sanno parlare. Se non si riscopre il valore delle famose parole di Ulisse “…fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza…” (Dante, Inferno, 26°, 113-120), consegneremo al futuro persone senza ‘luce’ e senza ‘bellezza’.

di Cesareeannalarosa

Piramide-38° Parallelo