Oltre le pareti nord-orientali della tomba di Tutankhamon potrebbe nascondersi un corridoio inesplorato, lungo 10 metri e largo 2, forse legato alla sepoltura della regina Nefertiti: lo avrebbero scoperto i radar di un gruppo di archeologi egiziani guidati dall’ex ministro delle Antichità, Mamdouh Eldamaty. Lo studio, non ancora pubblicato su riviste ufficiali, sarebbe stato presentato nei giorni scorsi al Consiglio supremo delle antichità egizie, secondo quanto scrive la Rivista Nature sul suo sito. Molte le perplessità nella comunità scientifica, inclusi i ricercatori italiani che hanno già condotto simili analisi sulla tomba del faraone bambino. Il sospetto corridoio al centro delle indiscrezioni si troverebbe alla stessa profondità della camera sepolcrale di Tutankhamon e correrebbe parallelo al corridoio di ingresso della tomba. Non è chiaro se lo spazio sia fisicamente collegato alla tomba del faraone o se sia parte di un’altra sepoltura. Il suo orientamento, perpendicolare all’asse principale della tomba di Tutankhamon, suggerirebbe la presenza di un legame.
“È difficile commentare uno studio senza avere a disposizione i dati tecnici, ma sono molto scettico”, afferma Francesco Porcelli, professore di fisica al Politecnico di Torino, che, con il suo gruppo di ricerca ha già condotto due studi simili sulla tomba del faraone, pubblicati nel 2018 e nel 2019. “Abbiamo usato la tecnica elettrotomografica per fare misure dall’esterno della tomba e tre georadar di ultima generazione con frequenza diverse per raccogliere dati complementari dall’interno della tomba: purtroppo, non abbiamo trovato nessuna camera segreta”. Dai dati, era emersa solo un’anomalia, “che, però, si trovava in una zona interessata da scavi e lavori di manutenzione fatti sul sentiero turistico che porta alla tomba”. È, dunque, difficile che il nuovo studio egiziano possa aver trovato qualcosa di diverso. “Non credo che abbiano usato strumenti adatti a quel tipo di rilevazioni scientifiche – sottolinea Porcelli, che guarda con diffidenza anche ai partner del progetto –, tra loro c’è un’azienda britannica che avevamo chiamato a collaborare con noi, ma che dopo aver eseguito le rilevazioni non ha più voluto condividere i dati raccolti”.