Passando vicino alla Casa di riposo Collereale di Messina, mi è tornato in mente il ricordo di una donna bellissima, che aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita tra quei corridoi, ripensando alla sua esistenza avventurosa: Rosa Quasimodo. Quando circa quarant’anni fa, divenne amica di mia nonna, la notai per la sua particolare avvenenza. Nonostante l’età avanzata, i suoi capelli erano biondi, rialzati e acconciati sempre in maniera perfetta, il viso liscio, la pelle rosea e gli occhi vivaci: quasi una ragazzina. Agile nel corpo, sempre elegante e attenta agli accessori, si imponeva nei salotti messinesi con grazia e signorilità. Adolescente, alle prese con le poesie degli autori del novecento, la interrogavo sulle sue frequentazioni giovanili, quando Montale, Ungaretti e suo fratello volevano cambiare il mondo della cultura, svecchiandola dai formalismi ormai logori della tradizione letteraria.
Rosa Quasimodo, allora, mi raccontava del suo grande amore giovanile, Elio Vittorini, mostrandomi orgogliosa bellissime foto dei suoi figli, uno dei quali morto in giovane età. Parlare con lei era come partecipare ai grandi caffè letterari: aveva la capacità di far rivivere il passato, con aneddoti che rendevano più umani i poeti e letterati tanti illustri che lei aveva frequentato. Di Carlo Emilio Gadda ricordava la fame di tipo nervoso, mi parlava di Mario Soldati, Malaparte, di Umberto Saba che amava la psicanalisi. Dovendo affrontare la licenza liceale, scrissi una tesina, raccogliendo gli episodi più belli sulla giovinezza di Elio Vittorini e Salvatore Quasimodo, che lei mi narrava con tanto entusiasmo. Mi mostrò l’epistolario tra lei e il suo illustre marito, parlando ancora con commozione della gioia provata al momento del conferimento del Nobel al fratello. Col tempo, le visite alla signora Quasimodo divennero più rare. La incontrai nel viale San Martino, dove mi offrì la dedica alla sua autobiografia intitolata Tra Quasimodo e Vittorini, sussurrandomi di conservarla con cura in suo ricordo.
Dopo la morte di mia nonna, la cercai alla Casa di riposo Collereale, dove si era ricoverata per ricevere assistenza. In un comò, aveva conservato i ricordi più cari: le foto di cui andava fiera. Ma in quegli anni, cominciò il suo declino. Morirono piano i suoi coetanei, gli amici del tavolo da gioco, da lei così tanto amato. Pian piano, le sue gambe non la sorressero più come una volta. Eppure, cercava di mantenere quella dignità e signorilità che l’aveva resa unica e indimenticabile. Di Rosa Quasimodo mi rimane il suo sorriso in alcune foto scattate durante le mostre malacologiche che mi mio padre organizzava nei primi anni ottanta e un garofano rosso, ormai avvizzito, che mi regalò unito al romanzo omonimo di Elio Vittorini, sussurrandomi che era stata proprio lei l’ispiratrice di quel grande successo letterario.
di Pina Asta