Un medico che, già allora, nel suo approccio col paziente, vide l’essenzialità di considerare quest’ultimo come una ‘persona’ della quale sviluppare le sue potenzialità: il suo metodo era orientato all’umano. L’aspetto della cura psichica è un’assunzione di un atteggiamento speciale (simbolico) allo stato psichico del paziente. Occorre porre attenzione al sintomo – così egli sottolineava. Jung, nonostante non facesse parte di quest’epoca, aveva già percepito la perdita dei simboli e del senso della vita, il disagio della post-modernità, un’epoca in cui vige un mondo caratterizzato da frammentazione, scissione, eccessivo narcisismo, desimbolizzazione, in cui si è perso il senso autentico della vita, dove prevale il ‘non-senso’. In poche parole un “mondo complesso” governato dal non-senso della vita, all’interno della quale vi è un appiattimento di valori e ideali, di sentimenti e di emozioni. L’essere umano è divenuto colui che subisce, piuttosto che essere un individuo attivo protagonista della propria vita. La psicologia analitica di Jung si propone come metodo che può recare sollievo al caos prodotto dalla post-modernità. Pertanto, già allora, si avvicina alla cultura post-moderna, partendo dall’individualismo all’individuazione come stato psichico caratterizzato da fluidità che permette all’essere umano di riconnettersi al senso della vita e che produce un individuo psicologico, un’unità separata, indivisibile: un ‘tutto’. Il suo intento era quello di suggerire un metodo per accrescere la coscienza umana e condurre l’uomo oltre l’individualismo e, come fine ultimo, guidare la coscienza dell’‘Io’ fuori dai suoi territori verso nuovi orizzonti.
di Barbara Cortimiglia