Poco conosciuto il nostro illustre concittadino. Questo nome è legato a un’importante e storica scuola del centro di Messina, nei pressi del tribunale, che gli fu dedicata. Fatto sta che, paradossalmente, la scuola è più nota del personaggio cui è stata intitolata. Ma chi era Giacomo Galatti? Questa eredità lo contraddistinse, sin da quando era in vita, una vita nascosta e sempre infelice e travagliata. Questa volta è proprio adatto il ‘Nemo propheta in Patria’ dei Vangeli. Giacomo Galatti nacque a Messina, nel 1850, e passò a miglior vita nel 1906, due anni prima del terremoto, a soli 56 anni. Ebbe particolare propensione, sin da giovane, per la Storia e per la Letteratura. Sotto la guida di valenti maestri, e per il suo ‘nobile, vigoroso ingegno’, si affermò negli studi storici. Compose, difatti, numerosi, saggi, drammi e romanzi. Vasta la sua produzione di libri a carattere storico, fra cui: L’Italia al Mille, su Federico II e L’Italia dei suoi tempi, monografie, ma il suo capolavoro che gli diede fama fu La Rivoluzione di Messina contro gli Spagnoli (1674-1678), in cui tratta dell’importanza dei Mulini della Vallata di Larderia.
Nel 1834, erano censiti, nella provincia di Messina, 386 mulini ad acqua, di questi – ben 24 – si trovavano nella vallata di Larderia (Messina). Questi mulini davano farina a tutta la città e distruggerli, ovviamente, significava affamare la città, per cui furono inviate delle truppe per proteggerli. Aveva, quindi, una straordinaria importanza la vallata di Larderia. Fu collaboratore assiduo di periodici e riviste del tempo, fra cui, la Rivista d’Italia, e la Rivista messinese Sicania, in cui apparve il suo ultimo scritto: L’Italia nelle Crociate e la politica coloniale. Non molti sanno che la via del centro storico cittadino chiamata Della Munizione, porta il nome di uno dei due teatri che vivacizzavano la vita culturale e sociale messinese. Proprio in questo teatro, fu il nostro Galatti – assieme al fratello Antonio – giurisperito e drammaturgo che offrì un memorabile ricevimento in onore del grande Vincenzo Bellini. In quell’occasione, venne eseguita la celebre opera lirica del Cigno catanese La Norma e anche Il Pirata. Gli ultimi suoi giorni furono raddolciti dall’onore che gli veniva dalla collaborazione alla prestigiosa Rivista d’Italia, dove ha scritto nel tempo gente del calibro di Carducci, Pirandello, Pareto, Fogazzaro, Capuana, De Amicis, Giovanni Gentile.
La morte spense questo nobile e vigoroso ingegno nella sua piena maturità, all’età di 56 anni. Da lui, gli studi storici aspettavano nuovi contributi preziosi. Degna del patrio compianto, la sua morte fu degna dell’onore che gli venne tributato. A ravvivare la sua memoria tra gli studiosi, bastano i suoi libri, ove ha lasciato la parte migliore e più splendente del suo spirito. A lui tornerà, spesso, il doloroso pensiero di quegli amici sinceri, pochi, che poterono conoscere la nobiltà altera del suo intelletto, non meno che la bontà della sua anima così onestamente e semplicemente ingenua, così candidamente affettuosa, sotto apparenze e forme esteriori che agli spiriti più grossolani e superficiali, pareva talora indifferenza insensibile. Egli fu dotto, fu buono, fu sempre infelice. Queste parole, suonino sulla tomba dello sventurato, rimprovero alla vita e agli uomini che non hanno saputo comprenderlo. Voce postuma e lontana nel tempo, di una sincera pietà. Messina lo ha onorato con l’intitolazione di una scuola, il sottoscritto rende omaggio con questo suo povero contributo.
di Alfonso Saya