Quando mi sono imbattuta nel romanzo Una donna quasi perfetta, di Madeleine St John, mi sono subito domandata se di adulteri nella letteratura non ce ne fossero già abbastanza. Evidentemente, l’autrice aveva previsto anche questo, dal momento che lo stesso interrogativo se lo pone il protagonista Simon, intento a discutere con la moglie Flora della fortuna dei romanzi La coppa d’oro e Una manciata di polvere. La risposta è servita, prontamente, da Flora: “(…) a quanto pare c’è ancora tutto o quasi tutto da dire sull’adulterio” dal momento che “il paesaggio morale è radicalmente cambiato” da quando Henry James e Evelyn Waugh hanno scritto i loro capolavori. Cosa dobbiamo intendere per “paesaggio morale radicalmente cambiato”? Flora precisa che “sostanzialmente, oggi, a nessuno interessa l’adulterio”. A questo punto, è chiaro che dobbiamo accantonare la questione prettamente tematica e anche smettere di interrogarci sulla fortuna della narrativa inglese contemporanea, perché l’autrice scrive di un adulterio, ma vuole farci guardare in tutt’altra direzione, pertanto, ci resta solo da indagare quale verità si nasconda dietro l’apparente e assai banale triangolo amoroso tra Simon, Gillian e Flora.
Passando a setaccio le dinamiche relazionali tra i protagonisti entriamo dentro i loro mondi: Gillian è la donna moderna, la donna-autonoma che non vuole impegnarsi in nessuna relazione perché rinunciare al kimono rosa con le gru, alla meditazione, al corso di cucina e al sogno di acquistare una casa sarebbe per lei un prezzo troppo grande da pagare. Che dire di Simon, mediocre sceneggiatore, marito infedele, gli piace vivere sul filo del rasoio, ma è assolutamente incapace di nuotare nella direzione che vuole; rifiutato e disprezzato da Lidia si lascia sedurre da Gillian, ma non riesce a rinunciare a Flora. La vita lo trasporta e lui si lascia trasportare, non si interroga, non pensa, si limita a tenere la testa a galla, ama due donne, ma non conosce il significato della parola amare, si crede indispensabile e questa convinzione gli basta. Infine, c’è Flora che si interroga su tutto, che tra avere ragione ed essere nel giusto sceglie la seconda opzione; è amata, deliziosa, infinitamente patetica. La sua perfezione? Un biglietto da visita che non le corrisponde: ricama non perché è operosa, ma perché le servono una terapia e una fede ferrea per accettare un’esistenza vissuta in funzione di… eppure quella vita è tutto ciò che ha e la transitorietà del tutto è una minaccia che la opprime e deprime. Intorno a loro si agita il perbenismo qualunquista degli amici che sanno, fingono le apparenze e provano ad interferire per ‘ricomporre’ la ‘coppia perfetta’, nonostante ‘qualche strappo’.
Nel gioco delle coppie infedeli o devote ognuno segue le sue regole, chi per audacia chi per noia ognuno decide da quale parte stare. Poi c’è Lidia – affascinante come un’attrice e personaggio fuori dal coro –, è l’amica attempata che non vuole cascare nella trappola del matrimonio e che finisce per essere compatita dai ben pensanti, i quali nel matrimonio vedono quel convenzionale-status necessario per avere l’approvazione della società. Ogni personaggio è sovrastato dal vivere: quel problema algebrico tracotante di incognite con cui ognuno deve misurarsi. Il prete dal pulpito farà notare che per trovare le risposte che ciascuno cerca occorrerà tempo, coraggio e sicuramente fede, fede di poterlo risolvere. Solo coloro che avranno questa fiducia continueranno a ricalcolare e non si arrenderanno al primo fallimento. Il senso del romanzo, la verità profonda che si cela dietro il banale triangolo amoroso è proprio questa: “Non è importante riuscire o no a trovare tutte le risposte a tutti i misteri. Quello che conta veramente è cercare, cercare con fede”.
E il rapporto che intercorre tra verità e menzogna? In merito nessuna condanna morale, lo diceva Flora che il paesaggio è mutato e che dell’adulterio non importa più niente a nessuno. Interessa forse a qualcuno se Flora e Simon torneranno insieme? Se Simon ha tradito Flora, se lei ne è consapevole e se sia giusto o no riaccoglierlo a casa facendo finta di niente? Non sarà certo più importante curarsi dello stato d’animo di Gillian e di come e con chi abbia trovato consolazione. Del resto, Flora non può fare a meno di constatare che se Gesù sia esistito o meno è un fatto altrettanto irrilevante perché ciascuno è chiamato a decidere per conto proprio, a farsi una sua idea. Così conclude la protagonista: “( … ) ci sono due mondi possibili, quello in cui Gesù è realmente esistito e quello in cui non è esistito, ed è importante decidere in quale dei due mondi vuoi vivere”. Il messaggio autentico di questo libro, il ‘nuovo paesaggio morale’ consiste proprio in questo: nell’autodeterminare, consapevolmente, per sé il proprio mondo possibile, indipendentemente, dai condizionamenti etici e sociali.
di Tiziana Santoro