Nino Ferraù e Salvatore Quasimodo

Tra i letterati, Nino Ferraù e Salvatore Quasimodo, ci fu un’amicizia senza dimestichezze, ma sorretta da un sentimento di stima profonda. Il Premio Nobel è stato lasciato morir solo, vegliato dal poeta Nino Ferraù (nella foto), che è stato preso di mira dai giornalisti, lo hanno assediato pensando che fosse un amico intimo del poeta defunto, il che non risponde al vero. Nino Ferraù era un semplice amico e un conterraneo con una ‘fedina letteraria’ che Quasimodo non condivideva affatto, poiché era contraria all’Ermetismo, corrente letteraria a cui lui aderiva, e, in contrapposizione, aveva fondato l’Ascendentismo e l’organo di stampa relativo, ‘selezione poetica’, di cui lui era il direttore. L’Ermetismo fu una breve stagione per Quasimodo mentre non lo fu per Ungaretti e Montale. La critica negativa di Ferraù si riferisce al tempo di questa stagione ermetica e qualche lato negativo lo vede dal punto di vista umano. “Quasimodo – afferma Ferraù – sembrava spinoso, angoloso, superbo. Le apparenze erano queste, ma egli era – afferma ancora Ferraù – figlio della sua terra rude e generosa dove anche il fico d’india è ritenuto generoso da chi non rinuncia di amare la squisitezza del frutto se lo trova armato di spine. Fra Quasimodo e Ferraù ci fu – ripeto – un’amicizia senza dimestichezze, ‘senza fusione e senza effusione’”.

Mi raccontava Nino Ferraù, che il giorno in cui gli fu dedicata una lapide nella casa natia, a Modica, gli disse: I veri poeti, in tutto un secolo, potranno essere uno, due, raramente di più”. Nino che aveva sempre pronta la risposta e una mosca sul naso – come si suol dire – non se la lasciava passare, replicò: “Due? Sono troppi, basti solo tu!”. Ferraù non era invidioso, non aveva alcuna rivalità: la gioia e il dolore degli altri erano la sua gioia e il suo dolore. Quando a Quasimodo venne conseguito il Premio Nobel, Nino Ferraù ebbe gioia, comprensione, amore e diceva: “Il mondo ha offerto a Quasimodo un premio grande, ma lo ha pagato con il prezzo del dolore che è stato più grande!”. Amava la Sicilia, “La terra del cuore”, e non c’era gioia più grande quando ritornava. Non nutriva rancore, la prova è stata – mi diceva l’indimenticabile Nino – quando al teatro Bellini di Catania è stato premiato Ungaretti, il suo più grande nemico che aveva scagliato fulmini contro l’Accademia di Svezia per avergli dato il Premio Nobel. Aveva le lacrime agli occhi per la gioia. L’apparenza inganna! Quasimodo sembrava tronfio, pieno di sé, ma, in fondo, era ‘un grande fanciullo’. Ha espresso tutto il suo dolore e la sua solitudine nella poesia Ed è subito sera che si può considerare il suo testamento spirituale: “ognuno sta solo nel cuore della terra/ trafitto da un raggio di sole/ ed è subito sera”.

di Alfonso Saya