Parlare della Cariddi, potrebbe sembrare, ormai, retrò. Voci, chiacchiericcio e libere interpretazioni, è stato dato spazio a tutti; addetti ai lavori, amatori o semplici cittadini hanno vissuto, in modo diverso, le avventure-disavventure della nave traghetto più chiacchierata della storia delle Ferrovie dello Stato a Messina. Viene varata nel 1932, presso i Cantieri Navali Riuniti dell’Adriatico di Trieste, destinata all’attraversamento dello Stretto di Messina ed adibita al trasporto di carri ferroviari. Giunta a Messina prese il posto, come ammiraglia della flotta FS, della sua gemella Scilla, un po’ più anziana, ma diversa nella motorizzazione; difatti, la Cariddi era mossa da un avveniristico motore diesel-elettrico, che avrebbe potuto “illuminare” l’intera città di Messina, qualora ce ne fosse stato il bisogno. Fino al 1943, la nave svolse, in modo encomiabile, il suo ruolo di ferry-boat, condividendolo con le altre consorelle Scilla, Mongibello, Aspromonte e Villa, ma nell’agosto di quell’anno, per impedire che il materiale bellico, in essa contenuto, cadesse in mano degli alleati (ormai, alle porte della città provenienti da Gela), venne autoaffondata con tutto il prezioso carico nelle acque della rada di Paradiso.
Il recupero della nave, senza “non poche” difficoltà, avvenne dopo 6 anni: fu, dapprima, liberata dal carico e poi riportata a galla, mediante un sistema di cilindri “stabilizzatori”, a cura della ditta Weigert di Messina. La Cariddi, tornata a galleggiare, si presentò agli occhi dei cittadini presenti, quasi completamente, capovolta ed altri 5 mesi ci vollero per riportarla dritta e recuperarne gli interni, era il dicembre del 1949. Tenuto conto delle “ancora” buone condizioni dello scafo e delle strutture portanti, si ritenne opportuno progettarne il ritorno, al più presto, alla sua naturale destinazione. La nave fu, così, sottoposta ad ulteriori lavori, che vennero effettuati tra La Spezia (lo scafo fu tagliato in due tronconi, per consentirne l’allungamento) e Riva Trigoso, dove, a seguito dell’allungamento, venne:
1) incrementato il numero dei binari (da 3 a 4) aumentando la capacità di carico dei carri ferroviari;
2) creata una sovrastruttura prodiera (castello), sulla quale poter caricare fino a 15 autovetture;
3) installato un nuovo sistema di propulsione, sempre diesel-elettrico;
4) posizionato un secondo fumaiolo, cosa che contraddistinse la nave, fino alla fine dei suoi giorni.
La Cariddi fu rimessa in mare, nell’ottobre del 1953, e dalle acque liguri, dopo le opportune prove e le autorizzazioni ministeriali, giunse, nuovamente, nello Stretto, il 27 novembre 1953 e, con grande orgoglio delle Ferrovie dello Stato, riprese, regolarmente, servizio tra le due sponde il 30 dicembre. Da allora, nonostante gli arrivi di sempre più nuove e moderne unità (Reggio, San Francesco di Paola, Iginia, Sibari, Rosalia, etc.) la Cariddi ha deliziato gli occhi dei vecchi marittimi con quel suo profilo unico: la “bocca” di prua aperta, i due fumaioli e le stupende rifiniture interne. Alla fine degli anni ’80, iniziò il declino di questa splendida “rinnovata” creatura.
Con l’avvento delle navi bidirezionali (le zattere con propulsione a pale verticali Voith-Schneider), la Cariddi venne impiegata, sempre meno, fino ad una forzata e prolungata giacenza al porto di Reggio Calabria, dove comunque, anche, se con personale ridotto, veniva, quotidianamente, messa in moto per garantire la funzionalità dei motori elettrici. Nel periodo in cui iniziò a prendere voce la possibilità di mettere in disarmo l’unità (che avvenne nel 1991), in tanti proposero di continuare ad utilizzare la Cariddi, per fini socio-culturali, e, tra i richiedenti (cosa che, spesso, viene tralasciata), la Fondazione del Museo “Cousteau”, del Principato di Monaco, che offrì quasi 2 miliardi di vecchie lire, per l’acquisto della nave da destinare a museo del mare itinerante. La risposta delle FS fu che essendo la nave “patrimonio da salvaguardare” (viste le caratteristiche dell’apparato motore), non poteva essere, assolutamente, ceduta. Da lì a poco, invece, sarebbe avvenuta la disfatta “totale”.
Se i vertici politico-amministrativi avessero avuto la modestia e la fiducia di credere nella Cariddi “patrimonio marinaro”, non l’avrebbero persa di vista un solo minuto. I progetti e le proposte ascoltati allora sono stati molteplici: da nave scuola (immaginate un Istituto Tecnico Nautico galleggiante ed itinerante? In Inghilterra gli allievi nautici beneficiavano della nave scuola Uganda, una vecchia nave ospedale della seconda guerra mondiale, nella quale avevano posto circa 1500 allievi, che effettuavano, periodicamente, delle lunghe crociere d’istruzione, oltre che delle lezioni a bordo), a museo del mare o sala congressi o ristorante galleggiante (immaginiamola posizionata in uno dei laghi di Ganzirri o al riparo nella rada di Paradiso). Quello che successe è, invece, storia più recente, quella storia fatta di disattenzioni, distrazioni (in tutti i sensi!), incuria e sperpero di denaro pubblico che, sommate ad una gretta ignoranza, hanno permesso che un gioiello come la Cariddi finisse in fondo al mare!
La nave, dopo essere stata collocata in disarmo, nel novembre 1991, faceva “gola” a diverse associazioni (Compagnia del Mare, Cooperativa Centro Servizi “Cariddi”, Associazione Marinara “Capitani di lungo corso”, “Meter e Miles”), ma dovettero passare tutte sotto il “permesso” della provincia regionale di Messina, che, con un atto a sorpresa (più per il prezzo pattuito, che per l’inciucio politico), si vide aggiudicare la Cariddi dalle FF.SS., corrispondendo a questa una somma che “non” superò i 200 milioni di vecchie lire (da rottame, in quanto la valutazione minima era 250 milioni di lire!!!). La pubblica amministrazione continuava ad affondare i denti su questo “ferrovecchio”, difatti la provincia regionale di Messina, tra il 1992 e l’affondamento, dovette pagare equipaggio, ormeggi, cantieri, vigilanza, senza mai trarne profitto o prendere iniziative tali da rivalorizzare la nave. La nave traghetto Cariddi, nel frattempo, tra incendi e saccheggi, iniziò un lento declino, senza che nessuno garantisse una benché minima manutenzione, tant’è che tra il 13 ed il 14 marzo del 2006 “Lei” decide di togliere il disturbo, si adagia, mollemente, sul fondale della rada di San Francesco, tra i 20 ed i 30 metri di profondità, sotto gli occhi “lucidi” di chi era abituato a vederla lì, quasi, a guardia dell’imboccatura del porto, di quella “falce”, che, dagli occhi della Madonnina, tante volte l’aveva benedetta!
Chi vi racconta è il figlio dell’ultimo comandante della nave traghetto Cariddi ed il sentimento che prova a raccontare del “Cariddazzu” (così, lo chiamava, Saro Centorrino), è legato a ricordi e testimonianze autentiche. La nave traghetto Cariddi sarebbe potuta essere, per una buona parte di giovani marittimi messinesi, come la Nina, la Pinta o la Santa Maria; essa avrebbe, certamente, permesso di “scoprire” altre realtà professionali da noi ancora distanti.
di Lillo Centorrino