Da numerose testimonianze risulta che, due giorni prima del terremoto che colpì la città di Messina, un “misterioso” vecchietto, andasse per le vie della Città suonando un campanello, e fermandosi ad ogni porta, diceva ai cittadini con accorata voce: “Pregate, pregate! Fate penitenza/ perchè il Signore ha perduto la pazienza!/È vicino il castigo di Dio, è vicino il flagello”/ e suonava, suonava il campanello…/tutti ridevano, ridevano/non gli credevano/ lo prendevano per matto…/pensavano che gli era saltato il cervello/ ma lui suonava, suonava il campanello/ e diceva: “Non mi credete ma ve ne pentirete!/ il castigo è vicino, è vicino il flagello/…”. Gli fu chiesto di dove fosse e lui rispose, con accento strano: “Non sono di questa terra, il mio paese è molto lontano…/pregate, pregate perchè è vicino il flagello…”.Questo episodio, che io ho tradotto in dei miei versi, è raccontato dall’indimenticabile padre Caudo che ne è stato testimone. Il misterioso vecchietto, si fermò davanti alla tipografia La Scintilla il battagliero Settimanale da Lui fondato ed ancora alle stampe, è tutt’ora il periodico della nostra Diocesi. L’episodio fu pubblicato sulla Scintilla del gennaio 1952.
È confermato dall’avv. Trombetta, persona allora ben nota ed assai stimata, è stata, difatti, intitolata una piazza al suo nome. Anche l’avvocato fu impressionato di quel misterioso vecchietto. Lui gli chiese chi fosse e lui rispose al solito: “Non sono di questa terra, il mio paese è molto lontano! Io pregherò per voi e voi pregate pure e il Signore vi salverà”. L’avv. Trombetta difatti, uscì salvo dalle macerie. L’avv Trombetta sospettava che non fosse un uomo comune, ma una sorta di “inviato” del Cielo. Il poeta russo Blok, il secondo nella letteratura russa per importanza dopo Pushkin, così ricorda in alcuni suoi versi il terremoto del 28 dicembre: “Le fiamme fumanti del terremoto/ profezia dei nostri tempi /tremenda apparizione lassù/ della minacciosa coda della cometa/la fine spietata di Messina”. Perkins e Wilson nel loro libro mai tradotto dall’inglese, sul ruolo della Royal Navy a Messina “Angels in blue Jackets” edito da Picton, 1985 così scrivono: “Quando le navi britanniche arrivarono a Messina in quel dicembre del 1908, i loro equipaggi non ebbero certo il tempo di ammirare lo scenario o di ponderare quello che sarebbe stato il ruolo storico da essi giocato nella tragedia”. Furono gli uomini della Washington i primi testimoni della immensa tragedia, i primi a lanciare il messaggio al mondo: “Messina is no more” (Messina non c’è più).
Il libro scritto dai due giornalisti inglesi, si sofferma, non a torto, sui terribili episodi di sciacallaggio perpetrati da bande di briganti calate sulla Città dopo il cataclisma, racconta di dita mozzate per sottrarre anelli ai corpi esanimi tra le macerie, di criminali travestiti da carabinieri, dei tentativi non andati a buon fine di aprire i caveau delle banche distrutte, dell’incuranza di alcuni del Governo romano che non credettero alle reali condizioni della Città dello Stretto. Ci fu un solo marinaio britannico morto nel prestare i soccorsi ai Messinesi, un arabo di Aden, di nome Ali Hassan. Tuttavia, nonostante la ben nota rivalità, neanche gli inglesi poterono fare a meno di restare ammirati di coloro che più di tutti contribuirono a prestare soccorso in quelle prime ore, i marinai russi, che un testimone così descrive: “I marinai russi non aspettarono gli ordini, ma si lanciarono tra le rovine e lavorarono come antichi Troiani. Essi ruppero l’incantesimo di apatia che ci aveva fino ad allora legato”. I siciliani piccoli e scuri, videro in quei ragazzi alti e biondi degli angeli. Merita una menzione un certo Vladimir Polukin, uomo di forza fisica fuori dal comune anche per i giganti russi, che sollevava massi enormi senza apparente sforzo. Quest’uomo lo ritroveremo più tardi nel corso della storia a capo dell’Armata Rossa, fucilato dagli inglesi durante la Rivoluzione comunista.
I russi meravigliarono tutti, per la loro completa indifferenza al rischio. I russi furono i primi a restaurare l’ordine e tenere a bada gli sciacalli. Continuando nella lettura di questo straordinario documento, si legge dei marinai della Royal Navy, che portavano in giro tra le braccia i bambini messi in salvo, se vedessero qualcuno dei parenti od amici; questi piccoli orfanelli venivano poi sistemati in piccole baracche da campo, dando loro arance e dolci. La flotta britannica accorse anche a Catona ( Reggio Calabria ), dove fu scoperto un singolo medico originario del Villaggio messinese di Salice, che curò più di cento persone, perchè i tre medici del posto erano rimasti uccisi: uomo davvero rimarchevole lo definisce il testo; morì dopo pochi giorni avendo aiutato a costruire l’ospedale, per non essersi dato alcun riposo.Ecco una descrizione di Messina, contenuta in una lettera di un marinaio inglese: “È il caos più completo, disperazione, devastazione irrimediabile. Ogni secondo una casa cade giù, un grande fuoco circonda Messina. I marinai corrono dappertutto con medicine e cibo, le barelle traboccano di invalidi. Un uomo è venuto oggi dal capitano, il suo villaggio è stato completamente raso al suolo, e lui è fuggito a gambe levate disperato”. Si racconta della visita del Duca di Connaught, terzo genito della Regina Vittoria, e delle piaghe di Messsina: tifo, pellagra, colera. Degli aiuti americani e dell’incredibile generosità del presidente Rooswelt e poi dell’Imperatore d’Austria-Ungheria e del Papa.
Si racconta anche che un considerevole numero di rifugiati sbarcato da navi di ogni nazionalità a Napoli, dove la camorra ne approfittò per indurre alla prostituzione molte giovani messinesi e reggine. Quando entrò in porto Re Vittorio Emanuele con la Regina Elena, tutte le navi spararono a salve le tradizionali cannonate, facendo sollevare sulla Città distrutta una nuvola bianca, di cui non c’era certo bisogno. Tra le altre persone, uno dei sopravvissuti, si avvicinò al Re per recargli il saluto dei messinesi rimasti, e cominciò un discorso fiorito colmo della retorica del tempo, dicendo quale profondo onore fosse il ricevere la visita del sovrano, ma Vittorio Emanuele, pare che impaziente, tagliò corto dicendo: “Basta, non dica tante sciocchezze!”. Il Governo italiano, riportano i giornalisti inglesi, aveva deciso di abbandonare Messina e di non ricostruire più la Città sullo stesso posto. Decisione poi evidentemente disattesa, pare per l’ostinazione dell’arcivescovo D’Arrigo.
Solo a pochi fu dato di entrare fra le rovine di Messina, tra questi, regolari visite vi fece il pittore Sir Frank Brangwyn, che ritrasse una serie di romantiche acqueforti delle rovine. Tra le molte personalità che intervennero sui luoghi del disastro, ricordiamo l’ammiraglio della flotta britannica del Mediterraneo Sir Assheton Gore Curzon-Howe, il Duca di Bronte Alexander Nelson Hood, il capitano Carter, la famosa MRS Mkinnon nata McDonald, ma soprattutto la Regina Elena, che come riferisce il colonnello Redcliffe, presso l’Ambasciata britannica a Roma, “Mi informò del disastro in quattro o cinque minuti, dicendomi molto più che fosse stato capace chiunque altro, dandomi il quadro perfetto di ciò che occorresse fare”. “Messina is no more”. Messina non c’è più, occorre riflettere su questo grido disperato, che anche oggi molti messinesi levano dai loro cuori.
di Alfonso Saya