Le fasi culturali della media e tarda Età del Bronzo della città di Messina sono meno documentate, in quanto proprio in questo periodo l’abitato dalla piana costiera si sposta sui rilievi collinari, essendo questi luoghi più adatti alla difesa. Comunque, proprio durante gli scavi effettuati a Camaro, avviene il ritrovamento di un idoletto litico di tipo cicladico a forma di violino in un insediamento tipico della ‘facies’ di Piano Conte, cioè una ‘facies’ che si estende dal Peloro alla Campania è quanto fa intravedere, secondo gli studi di Bernabò Brea, una civiltà profondamente improntata in apporti trasmarini, che caratterizzerebbe l’Eneolitico, cioè il corso del III millennio a.C., tanto più che un ampio frammento di un vasetto in pietra alabastrina indicherebbe un’importazione cicladica. Da scavi avvenuti nel Corso Cavour, presso Piazza Duomo, sono emersi resti poi passati al vaglio della Soprintendenza ai Beni culturali e ambientali (così, come riportato nelle pagg. 27-28 da Sebastiana Nerina Consolo Langher, in Messina, Storia, Cultura, Economia, edito da Rubbertino, Editore Srl, nel mese di novembre 2007). Anche durante gli scavi per la costruzione del palazzo Colapesce, sulla Via La Farina, nei pressi del Cavalcavia (vicino alla stazione ferroviaria), sono emersi resti e delle fondamenta passati al vaglio dell’Ente sopracitato.
Adesso, andiamo a vedere l’arrivo nella terra del sole dei Sicani e, successivamente, dei Siculi: i Sicani costituivano, con certezza, la più antica popolazione della Sicilia e si autodefinivano autoctoni. Ma secondo lo storico Tucidide (n. Atene il 455 a.C. e m. dopo il 423 a.C., che è stato generale, storico greco, nonché esponente della letteratura greca che scrisse il suo capolavoro “La Guerra del Peloponnesso”), i Sicani erano di origine Iberica, ma sono stati scacciati via dai Liguri. Infatti, proprio nell’odierna Spagna, in precedenza esisteva un fiume chiamato Sicano. Quando giunsero in Sicilia, che prima si chiamava Trinacria, cambiarono il nome dell’isola in Sicania. Si erano spinti e impiantati in tutta l’Isola, ma quando sono giunti i Greci, occupavano soltanto la parte a Ovest dell’Imera del Sud e cioè lungo e oltre la linea del fiume Salso, in quanto con l’arrivo dei Siculi, giunti in massicce forze, sono stati spinti in quella parte occidentale della Sicilia, come già detto, che va fino al Sud dell’isola e fino a Palermo. A conferma della tesi che loro si sentivano autoctoni, Dionigi di Alicarnasso, riportando un parere di Ellenico, narra che sia i Siculi, gli Elimi (che si stanziarono nel Trapanese) che gli Ausoni (che poi si stanziarono, definitivamente, nelle Isole Eolie), giunsero nell’isola tre generazioni prima della guerra di Troia.
I Siculi, invece, erano un popolo indoeuropeo di origine incerta che, arrivati nella Penisola, sarebbero stati cacciati dagli Opici fuggendo su delle zattere e, pertanto, sarebbero passati in Sicilia verso la metà del XIII secolo a.C. (data indicata da Ellanico di Mitilene e da Filisteo di Siracusa), arrivati in forze nell’Isola, dove trovarono i Sicani, i quali erano già una civiltà in decadenza e, in seguito, a un eruzione dell’Etna, in modo graduale, li spinsero oltre i loro confini, definendoli con gli stessi sconfitti, che sono quelli che abbiamo già detto. Infatti, in base ai ritrovamenti archeologici, esiste una nettissima rottura, intorno al 1250 a.C., a Lipari, dove appare un popolo portatore della civiltà ‘ausonica’ a carattere peninsulare abbastanza pronunciato. Mentre occorre precisare, invece, che, contrariamente agli invasori di Lipari, i nuovi conquistatori Siculi avrebbero assimilato in buona parte la cultura del popolo che li aveva preceduti, introducendo tra l’altro l’uso del cavallo e del rame e, inoltre, praticavano la sepoltura dei morti in tombe di tipo a ‘forno’ riunite in grandi necropoli.
di Filippo Scolareci