La Festa della Vara è un evento magico per la Città di Messina. Su questa grande Festività, ha scritto una bellissima e aurea pagina l’indimenticabile e compianto arcivescovo emerito di Messina, mons. Giovanni Marra, che merita di essere letta, specialmente dai giovani che rappresentano il futuro della nostra Città. Senza passato e senza memoria storica non c’è futuro, essi sono di fondamentale importanza! L’emerito arcivescovo prende lo spunto dalla Vara e traccia la Storia gloriosa di Messina. La Vara ha avuto origine dalla macchina trionfale che i messinesi prepararono per accogliere, con grande solennità, l’imperatore Carlo V. Messina, allora, era concapitale della Sicilia, era al massimo dello splendore e del prestigio religioso e politico. Il successo di quella macchina trionfale, che è servita efficacemente per onorare un re terreno (così pensò, saggiamente e con tanta Fede, il Senato cittadino), poteva essere adattata per rendere onore, ogni anno, alla Vergine Assunta in Cielo il 15 agosto. Fu facile e geniale questo adattamento, in perfetta sintonia con la devozione dei messinesi alla Madonna, la Perpetua Protettrice, come Lei si è dichiarata nella Sacra Lettera che costituisce la Carta d’identità di Messina.
Questa Festa, dicevo, è un evento magico, esprime, al dire dell’arcivescovo, l’unità del popolo messinese senza distinzione di censo o di cultura, che prende parte attiva, tirando le corde del Carro trionfale o correndovi dietro, sudando, osannando e pregando la Vergine Maria. Insieme al popolo corrono pure le autorità cittadine. La Vara rappresenta, al dire, ancora, dell’emerito presule, l’espressione più significativa della religiosità popolare, la più antica, ma anche la più carica di attualità. Si ripete da tanti secoli, da oltre 500 anni, in essa s’identifica la Città. “Dire Vara – chiosa mons. Marra – è dire Messina, dire Sant’Agata è dire Catania, dire Santa Rosalia è dire Palermo. Sono tre Feste popolari e tradizionali che caratterizzano e identificano le tre più importanti Città della Sicilia”.
di Alfonso Saya