Viaggio di un poeta in Palestina: Si chiamava Palestina… e ancora si chiama Palestina!

Ci sono viaggi che intraprendiamo nella nostra vita che ci cambiano per sempre, questo è esattamente ciò che è successo a me, dopo la mia visita in Palestina, Terra meravigliosa e ricca di storia e civiltà, luogo in cui dimorano persone dal sorriso trascinante, coinvolgente e sconvolgente! È proprio qui che ho evinto che i sogni dell’Uomo non conoscono confini, che ogni paese del mondo è la mia patria e, soprattutto, che il cuore pulsante dell’umanità batte all’unisono senza conoscere barriere, filo spinato e becere recinzioni, che la nazionalità finisce dove inizia la fratellanza universale, così, forse per la prima volta, in maniera palese ed esplicita, ho visceralmente appreso il verace significato di essere me stesso, un uomo, un poeta, un libero pensatore contemporaneo. Nella prima settimana di maggio scorso, ho fatto rientro in patria dopo ciò che non posso definire un viaggio, ma ‘il viaggio’… facevo parte di una delegazione di scrittori, poeti, editori, giornalisti, attivisti in ambito culturale, di volontariato e carità, accompagnati dal poeta e scrittore palestinese dott. Odeh Amarneh, consigliere culturale dell’Ambasciata dello Stato della Palestina in Italia, è stata invitata e ospitata dall’OLP (Organizzazione Liberazione Palestina) e dall’Unione Generale degli Scrittori Palestinesi, con l’obiettivo di rafforzare il dialogo culturale tra Palestina e Italia e conoscere da vicino la situazione palestinese. Il tutto era organizzato in maniera magistrale, nella nostra permanenza… i nostri fratelli palestinesi erano sempre a fianco, da amorevoli e attenti ‘padroni di casa’.

In Palestina, ho visitato luoghi bellissimi e suggestivi, oserei dire magici. Mi sono ritrovato catapultato in atmosfere che rievocano sentimenti ancestrali obliati, ma ancora presenti in fondo all’anima… e, chissà per quale strano motivo, ho avuto quel tipo di sussulto di chi, dopo un lungo peregrinare, fa ritorno a casa. L’ospitalità palestinese è stata ineccepibile, oltre ogni previsione, sicché la nostra delegazione è stata accolta in pompa magna dalle istituzioni, dalla televisione nazionale e dulcis in fundo, dall’Unione Generale Scrittori Palestinesi, presieduta dal poeta, dott. Murad Sudani, che meriterebbe fiumi di parole per poter essere ringraziato degnamente, il quale, insieme al direttivo della prestigiosa associazione, per la prima volta nella storia, ha insignito degli stranieri con il titolo di ‘membri onorari’ dell’Unione Generale Scrittori Palestinesi. Arduo spiegare il turbine di emozioni nel visitare il museo di Yasser Arafat ed entrare nei luoghi dove visse confinato, nella Muqatàa di Ramallah dalla fine del 2001, asserragliato, per via dell’esercito israeliano, per poi rispettare un religioso silenzio dinanzi alla tomba di questo grande uomo, simbolo indiscusso di libertà, resistenza e fratellanza tra i popoli. Entusiasmante venire ricevuti, presso la sede dell’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina), da un uomo di spessore e di qualità morali ineccepibili, malgrado la grande umiltà e disponibilità al dialogo, quale il dott. Faisal aranki. Esaltante e stimolante la visita al museo del famoso poeta, scrittore e giornalista palestinese Mahmoud Darwish e leggere le nostre poesie tradotte in lingua araba.

Toccante e suggestivo, anche per un ‘non credente’, entrare nella Basilica della Natività, scendere le scale e toccare con le proprie mani la ‘grotta’ più celebre al mondo. L’apice della gratitudine a un popolo che, a differenza di molti altri, nutre una elevatissima considerazione per la Cultura, l’Arte e, nella fattispecie, per la Poesia, è stato raggiunto quando la delegazione italiana è stata accolta nell’ufficio del primo ministro, dal dott. Mohammad Shtayyeh in persona, il quale ha dimostrato di essere, oltre che una mente brillante e un leader carismatico, anche un uomo sensibile e dall’anima artistica, poiché conosceva le poesie scritte da noi poeti presenti in quella stanza, precedentemente tradotte in lingua araba dall’instancabile dott. Odeh Amarneh. Non sono mancati momenti divertenti conditi di gioia e convivialità, poiché il popolo palestinese ci ha abbracciato con l’amore e la fratellanza che lo contraddistingue, ma ahimè, in questa terra non è tutto rose e fiori. Il primo giorno, per giungere a Gerico, abbiamo trascorso svariate ore presso il confine israeliano, perché i controlli si sono intensificati notevolmente, per via della presenza in delegazione di un poeta palestinese.

Tutti i nostri spostamenti in auto sono stati rallentati da ore di code interminabili, causate dagli svariati checkpoint disseminati sulle strade, teoricamente di competenza palestinese, ma di fatto, sotto il controllo dei militari israeliani, così, anche se per solo una settimana, abbiamo compreso tutte le difficoltà e le discriminazioni che ogni cittadino palestinese subisce nella propria quotidianità, come raggiungere il proprio posto di lavoro o andare a trovare un familiare. Abbiamo visto targhe bianche e targhe gialle che diversificano le auto israeliane da quelle palestinesi, abbiamo visto la differenza di spessore tra i grossi tubi che portano l’acqua nelle case degli israeliani e quelli sottili destinati ai palestinesi, ho visto il muro della vergogna… il museo di Banksy, abbiamo conosciuto genitori che piangono i propri figli imprigionati, o peggio uccisi…, in effetti, non c’è famiglia che non abbia subito qualcosa di questo genere, in questi pochi giorni, ho visto il regime israeliano di apartheid che il mondo non vede. Il luogo che non potrò mai scordare è il campo profughi Dihaishi, dove ci sono tantissimi bambini disabili, non perché siano nati con malformazioni, ma a causa di proiettili sparati sulle loro ginocchia. In questo luogo, ho pianto molto, avvertendo un tale senso d’impotenza che mi ha raggelato il cuore, facendomi alternare un sentimento di rabbia e di dolore, sbattendomi in faccia tutta la colpa del mio mondo, quello Occidentale, che, da troppo tempo, si volta dall’altra parte o, addirittura, chiude gli occhi su di un popolo che desidera solo vivere in pace nella propria terra di origine, la Palestina.

‘Livide lacrime’
Ringhiano e sbavano i cani rabbiosi,
Avidi, in branco, digrignano i denti
Su anziane donne, bambini festosi
E disarmati, mansueti credenti…
Piovono assalti e ululati ingiuriosi,
Di ‘valorosi’ soldati possenti.
In luoghi sacri, per nulla ossequiosi,
Calci e fucili su corpi innocenti,
Solo di morte e di sangue bramosi,
In uniforme su atroci lamenti,
Ladri di terre mendaci e boriosi
Marciano tronfi con ghigni indecenti.
Piange ogni madre, su candida stele,
Livide lacrime d’acido fiele.

Fabrizio Cacciola – IL POETA DI SPARTA