Nel suo Testamento, Francesco utilizza questa frase: “Quando ero nei peccati”. Ma quale fu il peccato che Francesco accusa se stesso di avere? La Leggenda Dei Tre Compagni ci dà una foto esatta su come era Francesco prima della sua conversione. Arrivato alla giovinezza, vivido com’era di intelligenza, prese a esercitare la professione paterna, il commercio di stoffe, ma con stile completamente diverso. Francesco era tanto più allegro e generoso, gli piaceva godersela e cantare, andando a zonzo per Assisi giorno e notte con una brigata di amici, spendendo in festini e divertimenti tutto il denaro che guadagnava o di cui poteva impossessarsi (Capitolo 1, 2). Oltretutto, Francesco, non soltanto desiderava soldi per spendere, ma anche la gloria mondana. Infatti, voleva diventare un cavaliere. Dice La Leggenda Dei Tre Compagni: “Passarono degli anni. Un nobile assisano, desideroso di soldi e di gloria, prese le armi per andare a combattere in Puglia. Venuto a sapere la cosa, Francesco è preso a sua volta dalla sete di avventura. Così, per essere creato cavaliere da un certo conte Gentile, prepara un corredo di panni preziosi; poiché, se era meno ricco di quel concittadino, era però più largo di lui nello spendere (Capitolo 2, 5)”.
In poche parole, il peccato di Francesco fu quello di esaltare se stesso e i suoi desideri. Ovviamente, in tale comportamento Dio non era il primo posto nella sua vita. Siccome viveva per se stesso non poteva mai lodare Dio. E di conseguenza di tutto ciò la vita di Francesco ebbe un buio profondo. Quanto, in tutto questo, Francesco fu lontanissimo dal volere e l’agire, secondo il … disegno benevolo (Fil 2:13) per Dio! Il frutto primario della sua conversione fu quello di riconoscere che solo Dio è l’unico sommo bene! Quando La Compilazione di Assisi parla sull’umiltà di Francesco dice: Disse ancora: “Come nelle immagini del Signore e della beata Vergine dipinte su tavola si onora e ricorda Dio e la Madonna, e il legno e la pittura non attribuiscono tale onore a se stessi; così il servo di Dio è come una pittura, una creatura fatta a immagine di Dio, nella quale è Dio che viene onorato nei suoi benefici. Il servo di Dio, dunque, simile a una tavola dipinta, non deve riferire nulla a se stesso l’onore e la gloria vanno resi a Dio solo, mentre a se stesso egli attribuirà vergogna e dispiacere, poiché sempre, finché viviamo, la nostra carne è ribelle alle grazie del Signore” (N. 104).
Questo appropriarsi di Dio viene contrasto duramente con l’orribile peccato dell’orgoglio. Cioè, prendere a me stesso l’onore che appartiene unicamente all’Altissimo. Nella Seconda Ammonizione, San Francesco parla, appunto, sul male della propria volontà. Disse il Signore a Adamo: “Mangia pure i frutti di qualunque albero, ma dell’albero della scienza del bene e del male non ne mangiare”. Adamo poteva, dunque, mangiare i frutti di qualunque albero del Paradiso; egli, finché non contravvenne all’obbedienza non peccò. Mangia, infatti, dell’albero della scienza del bene colui che si appropria la sua volontà e si esalta per i beni che il Signore dice e opera in lui; e così, per suggestione del diavolo e per la trasgressione del comando, è diventato per lui il frutto della scienza del male. Bisogna, perciò, che ne sopporti la pena. Ecco perché San Francesco, nella Regola Non Bollata, esorta tutti i frati a non appropriarsi della loro volontà.
Nessun frate predichi contro la forma e le prescrizioni della santa Chiesa e senza il permesso del suo ministro. E il ministro si guardi dal concederlo senza discernimento. Tutti i frati, tuttavia, predichino con le opere. E nessun ministro o predicatore consideri sua proprietà il ministero dei frati o l’ufficio della predicazione, ma in qualunque ora gli fosse ordinato, lasci, senza alcuna contestazione, il suo incarico. Per cui scongiuro, nella carità che è Dio, (Cfr. 1Gv 4,8.16) tutti i miei frati occupati nella predicazione, nell’orazione, nel lavoro, sia chierici che laici, che cerchino di umiliarsi in tutte le cose, di non gloriarsi, né godere tra sé, né esaltarsi dentro di sé delle buone parole e delle opere anzi di nessun bene che Dio dice, o fa o opera talora in loro e per mezzo di loro, secondo quello che dice il Signore: “Non rallegratevi, però, in questo, perché vi stanno soggetti gli spiriti” (Lc 10,20). E siamo fermamente convinti che non appartengono a noi se non i vizi e i peccati. E dobbiamo anzi godere quando siamo esposti a diverse prove (Gc 1,2), e quando sosteniamo qualsiasi angustia o afflizione di anima o di corpo in questo mondo in vista della vita eterna.
Quindi, tutti noi frati guardiamoci da ogni superbia e vana gloria; e difendiamoci dalla sapienza di questo mondo e dalla prudenza della carne (Rm 8,6-7). Lo spirito della carne, infatti, vuole e si preoccupa molto di possedere parole, ma poco di attuarle, e cerca non la religiosità e la santità interiore dello spirito, ma vuole e desidera avere una religiosità e una santità che appaia al di fuori agli uomini… E restituiamo al Signore Dio altissimo e sommo tutti i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tutti rendiamogli grazie, perché procedono tutti da Lui. E lo stesso altissimo e sommo, solo vero Dio abbia, e gli siano resi ed Egli stesso riceva tutti gli onori e la reverenza, tutte le lodi e tutte le benedizioni, ogni rendimento di grazia e ogni gloria, poiché suo è ogni bene ed Egli solo è buono (Cfr. Lc 18,19) (Capitolo 17, 1-12. 17-18).
Allora la santa umiltà rimane l’antidoto numero uno contro la superbia. Dice San Francesco, nel Saluto alle virtù: “La santa umiltà confonde la superbia e tutti gli uomini che sono nel mondo e similmente tutte le cose che sono nel mondo. Per restare umili davanti a Dio bisogna tre cose. Il primo, la consapevolezza che tutto che abbiamo viene da Dio. Secondo, non ci dimentichiamo mai quando eravamo nel peccato. Terzo, non avere mai paura a confessare i nostri propri peccati. L’esempio di san Francesco sicuramente ci aiuta parecchio in queste tre strategie contro la superbia e par crescere in noi, con l’aiuta della grazia divina, la santa umiltà!”.
di Fra Mario Attard