Pace in terra a tutti gli uomini che Dio ama

Fin da bambino, il Natale era la festa più grande. La fibrillazione cominciava molto prima con la preparazione del presepe, il controllo delle straordinarie statuine di terracotta di Caltagirone, l’individuazione del terreno bagnato per raccogliere il muschio migliore. Erano gli anni successivi della resa di Cassibile, ma più di mezza Italia era in guerra, dolorosa ancor più come ogni guerra civile alle prese con i nazisti invasori e i fascisti della Repubblica di Salò. Mio padre era ancora prigioniero e mia madre nascosta sotto la coperta in ascolto di radio Londra. Noi bambini sopra la grotta del presepe accanto alla grande cometa ponevamo la scritta “Pace a tutti gli uomini di buona volontà”. Ormai, invece, anche i più piccoli cantano “pace a tutti gli uomini che Dio ama”. È frutto del concilio Vaticano II, dell’approfondimento degli studi biblici, dell’introduzione dell’italiano e delle altre lingue nazionali nella liturgia voluto da Papa Paolo VI. Non mancarono le critiche e si parlò di Chiesa troppo progressista che avrebbe causato lo svuotamento delle parrocchie. Oggi, nessuno metterebbe in discussione la maggiore efficacia non solo spirituale, ma anche culturale e civile che può contribuire a tutti noi di essere più riflessivi e più buoni. Rispettosi gli uni degli altri, costruttori di una nuova e più giusta umanità.

di Nuccio Fava