La Rai come la Libia

Grave, davvero, il silenzio tombale sui problemi della Rai di cui meniamo scandalo e sorpresa solo all’atto delle nomine o di qualche scandalo in diretta. Eppure, la Rai è servizio pubblico che dovrebbe significare attenzione qualificata, la migliore possibile sul piano informativo, culturale di svago e intrattenimento dei cittadini italiani. Per carità, ma la qualità artistica di don Matteo e delle dosi massicce di Montalbano le vogliamo considerare? E Costanzo inascoltabile per quali ragioni segrete occupa l’elettrodomestico?

Solo esempi costellati da Tg nel corso della giornata che sembrano talvolta intermezzi tra Porta a Porta e le cattive imitazioni sulle altre reti? Dinnanzi a un simile disastro siamo alla registrazione dell’inesistenza del servizio pubblico con scontro e problemi indicibili tra i partiti per una diversa spartizione che comprenda le stesse correnti specie dopo il passaggio dal Conte I al Conte II. Ovviamente, senza alcuna motivazione delle scelte, né di nuove attenzioni culturali e prospettive innovative, spartizioni e cambio di caselle senza nemmeno la dignità di spiegare e motivare la ragione e lo scopo di certe scelte. Il direttore generale non è venuto ad alcuna spiegazione e sulle sue scelte, per i pieni poteri che gli ha assegnato a suo tempo il governo Renzi. Lamentandosi, addirittura, di non avere avuto ascolto, costretto a decidere tutto da solo. In effetti, manca ogni forma di corresponsabilità, di gioco di squadra, invocato ormai per ogni partita di pallone.

Figurarsi quanto indispensabile per una azienda delicata e complessa come la Rai servizio pubblico. Due grandi amici e intellettuali di livello, Alberto Ronchey e Leopoldo Elia, si dimisero dopo il fallimento della riforma del 1975 e inventarono con efficacia il termine di ‘lottizzazione’ della Rai e di ‘occupazione’ da parte dei partiti. Questa volta il male ha raggiunto vette da Everest nello sconfortante silenzio dei sindacati interni, dei giornalisti Rai e della stessa federazione della stampa e dell’Ordine nazionale. Tutti inaspettatamente silenti, attori forse preoccupati e confusi, in attesa anche di possibili avanzamenti e nuove opportunità intermedie di carriera.

di Nuccio Fava