Se è possibile ipotizzare un piano regolatore anticlericale, l’ing. Borzì riuscì in pieno a realizzarlo. Quindi, non solo non previde, nel centro urbano, come si evince chiaramente dalle relative tavole, la ricostruzione delle chiese e delle altre strutture ecclesiastiche nelle sedi che prima occupavano, ma fece di tutto per rendere oltremodo difficoltosa la loro ricostruzione, come dovette, purtroppo, constatare l’arcivescovo Paino. E fu per questo che il suo predecessore, mons. D’Arrigo, non riuscì a riattare e ricostruire le chiese, gli edifici destinati alle attività socio-scolastiche e le istituzioni religiose preesistenti, danneggiate o distrutte dal terremoto, se non in minima parte, né, peraltro, fu in grado di arginare la furia iconoclasta dell’ing. Borzì.
Quest’ultimo, infatti, nel redigere il piano regolatore della Città, che porta il suo nome, oltre a non tener in alcun conto i siti dove in precedenza sorgevano le chiese di Messina, decise anche, per la realizzazione di nuove strade, di procedere alla demolizione di alcune chiese che avevano superato indenni, o quasi, il terremoto, per cui alla fine, per Messina, previde un solo luogo dedicato al culto, il Duomo. Peraltro, la rigidità e la squadratura prevista dal piano impedì che tutte le chiese del centro urbano avessero il sagrato, luogo indispensabile alla vita di comunità dei fedeli.
di Giuseppe Pracanica