Renato Guttuso, nel lontano 1955, in un convegno regionale della Scuola e della Sicilia, che si è tenuto nell’Aula magna dell’Università di Messina, si definiva, orgogliosamente, “un intellettuale rimasto siciliano”, con le radici affondate nella Sicilia, da non riuscire a dipingere altro mare che questo nostro, omerico, altro cielo che questo, altri volti e aspetti che non siano quelli familiari della sua infanzia, di contadini, di solfatare, di marinai. L’assunto del grande Guttuso era che non esiste un artista piccolo o grande che sia fuori dal suo mondo, dall’ambiente in cui vive, ben piantato nella propria patria, nella propria terra che è fonte d’ispirazione poetica e artistica per cui si sente debitore. Di quanto l’artista riesce a creare, il merito, quindi, non è tutto suo, ma una parte di esso è dovuto alle condizioni esteriori, ai fatti che determinano e caratterizzano l’ambiente paesaggistico e culturale. L’artista o il poeta rimane legato come un’ostrica alla sua terra e non riesce a staccarsi da essa. In una poesia dal titolo La mia terra è mia madre, un nostro grande poeta, Nino Ferraù, afferma: “Sotto tutti i cieli errai come aquilone/esposto a tutti i venti/ ma il capo del suo filo/ rimase sempre fermo nel tuo pugno, amata terra”.
di Alfonso Saya