Il diabete mellito è una patologia in crescita a livello mondiale e, in Italia, interessa oltre 3 milioni di pazienti (il 5,3% dell’intera popolazione). Questa diffusione della malattia è provocata dalla somma di diversi fattori, in particolar modo nei Paesi Occidentali. Tra questi, possiamo riconoscere da un lato il progressivo invecchiamento della popolazione, le abitudini alimentari scorrette e l’aumento di persone obese che ne consegue; dall’altro l’incremento di diagnosi precoci e, per contro, la diminuzione del tasso di mortalità dei pazienti diabetici. Approfondisce l’argomento il dottor Marco Mirani, diabetologo in Humanitas.
Diabete mellito: Cos’è e da cosa è determinato
Il diabete è causato dall’iperglicemia ovvero dall’aumento del livello di glucosio nel sangue, dovuto a un difetto di secrezione o a un’azione inadeguata dell’insulina, l’ormone prodotto dalle cellule del pancreas e deputato al controllo dei livelli di zucchero. Vi sono due diverse tipologie di diabete mellito: il diabete di tipo 1, che affligge tra il 3% e il 5% dei diabetici, e il diabete di tipo 2, più comune, che riguarda più del 90% dei pazienti con diabete. Si tratta di due patologie molto diverse tra loro, sia per le modalità di insorgenza che per la terapia e l’impatto sulla vita dei pazienti. Sebbene si tratti di una patologia a volte subdola, che può insorgere senza sintomi manifesti e rimanere silente per diverso tempo, nei casi acuti, invece, tra i sintomi di presentazione si possono riconoscere: stanchezza, poliuria (aumento del volume urinario) con conseguente polidipsia (aumento di sete), calo di peso corporeo, dolori addominali. Le conseguenze a lungo termine dell’iperglicemia portano alla comparsa delle temute complicanze del diabete: la retinopatia, la nefropatia, la neuropatia e le malattie cardiovascolari (malattia coronarica, ictus, arteriopatia degli arti inferiori). Per fare diagnosi di diabete mellito è sufficiente un semplice dosaggio della glicemia con un normale prelievo di sangue.
Diabete di tipo 1: Una severa patologia autoimmune
Il diabete di tipo 1 tende a insorgere, in particolar modo, durante l’infanzia e, in età adolescenziale, (ma più raramente anche in pazienti già adulti) ed è causato da un’assenza totale di insulina, provocata dalla distruzione delle cellule beta del pancreas dovuta alla comparsa di autoanticorpi. Non siamo ancora a conoscenza delle cause effettive di questa risposta immunitaria anomala, ma sembrerebbe associata a fattori ereditari su cui agiscono dei determinanti ambientali (per esempio, alcune infezioni virali).
Diabete di tipo 2: Una malattia multifattoriale
Il diabete tipo 2 tende, invece, a presentarsi dopo i 30-40 anni d’età. Diversi meccanismi sono implicati nella genesi di questa patologia metabolica, ma classicamente il difetto iniziale è rappresentato da una insulino-resistenza, ossia una ridotta azione dell’insulina a livello degli organi bersaglio che porta da un lato a un eccesso della produzione epatica di glucosio e dall’altro a una sua ridotta utilizzazione da parte dei muscoli. Tra i fattori di rischio più rilevanti per l’insorgenza del diabete di tipo 2 figurano la familiarità, lo stile di vita sedentario, l’alimentazione troppo ricca di grassi e zuccheri, il sovrappeso corporeo. L’iperglicemia, in questa malattia, può avere un’insorgenza graduale, per questo motivo il diabete di tipo 2 può comportarsi in maniera silente per diversi anni, prima di portare allo sviluppo dei sintomi e, spesso, all’esordio possono già essere presenti le complicanze tipiche della malattia.
È possibile prevenire il diabete?
Purtroppo, non è al momento possibile prevenire l’insorgenza del diabete di tipo 1, anche se sono in corso studi sulla possibilità di intervenire nelle fasi più precoci della malattia. Si può, invece, prevenire il diabete di tipo 2 adottando una dieta sana, a basso contenuto di grassi e calorie, praticando una regolare attività fisica ed evitando il sovrappeso. Queste accortezze, nel caso del diabete di tipo 2, sono particolarmente efficaci: ci sono studi che confermano come uno stile di vita adeguato sia più efficace di un intervento farmacologico nel ridurre la glicemia.
Insulina e farmaci ipoglicemizzanti: Le possibilità di trattamento
Il diabete di tipo 1 può essere curato solo con l’insulina. La somministrazione dell’insulina può avvenire o con le classiche iniezioni sottocutanee oppure con i sistemi di infusione continua (i microinfusori). Con questo trattamento, che deve essere continuativo e dura per tutta la vita, i pazienti possono condurre una quotidianità normale. È molto importante, tuttavia, che facciano riferimento a centri specializzati e multidisciplinari, sia per il trattamento del diabete stesso, sia per il trattamento delle complicanze che possono insorgere in associazione a questa malattia. Per il trattamento del diabete di tipo 2, invece, abbiamo a disposizione diverse opzioni terapeutiche, e anzi, negli ultimi anni, si è assistito all’immissione in commercio di numerosi nuovi farmaci ‘innovativi’ che, nel corso dei prossimi anni, modificheranno sensibilmente la pratica clinica, avendo dimostrato di avere anche un significativo beneficio sul rischio cardiovascolare che rappresenta la maggiore causa di mortalità nel diabete di tipo 2. In particolare, il riferimento è agli analoghi del GLP-1 (Glucagon-like peptide-1), ormone che ha il compito di facilitare la secrezione dell’insulina, prodotto dalle cellule intestinali a seguito dell’ingestione di cibo; e alle gliflozine, o inibitori del co-trasportatore di sodio glucosio 2 (SGLT2), che favoriscono l’eliminazione del glucosio attraverso le urine, attraverso l’azione su un recettore renale. Tuttavia, è doveroso affermare che non esiste un’unica terapia farmacologica valida per tutti i pazienti con diabete di tipo 2: le terapie vanno personalizzate sulle necessità del singolo paziente, in base alle sue caratteristiche e alla sua storia clinica. (Humanitas.it)