Il messaggio sembra ormai essere passato alla popolazione: usare poco sale, ma iodato, per prevenire le malattie legate all’eccessivo introito di sodio e quelle collegate a una carente nutrizione iodica. Tra il 2016 e 2019, quasi 6 su 10 hanno fatto attenzione o cercato di ridurre la quantità di sale assunta a tavola, nella preparazione dei cibi e nel consumo di quelli conservati. È quanto emerge dai dati della sorveglianza PASSI pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità. Sulle base delle interviste fatte a circa 130.000 persone, è emerso che il 71% fa uso di sale iodato, percentuale vicina all’85-90% raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Questi risultati sono coerenti con la sorveglianza fatta dall’Osservatorio Nazionale per il Monitoraggio della Iodoprofilassi in Italia (Osnami), presso l’Istituto Superiore di Sanità, che, sulla base della concentrazione urinaria di iodio in un campione di bambini in età scolare residenti in nove Regioni italiane, ha dimostrato il raggiungimento della iodosufficienza nel nostro Paese. Inoltre, le ecografie della tiroide fatte negli stessi bambini hanno mostrato la progressiva scomparsa del gozzo in età scolare in tutte le Regioni, un indicatore questo di iodosufficienza stabile nel tempo. Ora l’impegno, commenta l’ISS, dovrà proseguire per avere una sempre maggiore riduzione della frequenza delle malattie legate alla carenza di iodio (gozzo, noduli, ipotiroidismo congenito, tumori tiroidei più aggressivi) con azioni mirate ed efficaci. In particolare, bisognerà eliminare le disuguaglianze emerse, quali il maggior utilizzo del sale iodato al Nord rispetto al Centro e al Sud e tra le persone più avvantaggiate in termini economici e di istruzione. (Ansa)
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