Nel vasto panorama delle patologie psichiatriche emerge una singolare sindrome, che rientra nell’ambito dei disturbi fittizi ovvero tutte quelle situazioni in cui, volontariamente, si simulano o si procurano sintomi e segni clinici, distinguibili dall’ipocondria, cioè l’eccessiva preoccupazione di soffrire di qualche malattia non ancora diagnosticata, stiamo parlando della Sindrome di Munchausen. Il nome della sindrome deriva da un personaggio esistito realmente, il barone di Munchausen, il quale amava distrarre gli amici con racconti in cui si attribuiva straordinarie prodezze. I pazienti con tale sindrome inventano una storia clinica credibile e plausibile anche se i dettagli sono, quasi sempre, vaghi e inconsistenti, spesso nella narrazione dell’anamnesi si possono trovare atti eroici. Tali pazienti portano con sé una documentazione clinica molto fitta, si sottopongono a continui esami clinici, persino a indagini invasive disturbanti, come una sorta di autolesionismo.
La Sindrome di Munchausen per procura, all’interno dei disturbi fittizi, è il risultato del desiderio della madre di essere al centro dell’attenzione del personale medico, attraverso la malattia del proprio figlio che viene procurata. Ossia si tratta di sindromi provocate dai genitori, principalmente, dalla madre sui propri figli. Sono state descritte situazioni endocrine procurate attraverso somministrazione d’insulina o mancata somministrazione, uso di steroidi anabolizzanti, cortisonici, aggiunta di adrenalina nelle urine; metaboliche, attraverso abuso di lassativi, abuso di diuretici, abuso di bicarbonato di sodio; ematologiche, attraverso ingestione di anticoagulanti orali; gastrointestinali, attraverso eccessiva ingestione di olio, abuso di lassativi e diuretici; infettive, attraverso ingestione di liquidi bollenti, prima di misurare la temperatura, infezione batterica autoindotta.
Cosa spinge una madre a procurare segni clinici che, nel 10% dei casi, conducono alla morte le vittime?
La crisi matrimoniale e il desiderio di attaccare il partner, che risulta essere, a sua volta, un padre emotivamente assente e, soprattutto, passivo, tale tesi porta a sostegno il motivo per cui la madre, che, invece, è colei che decide all’interno della famiglia, progetta una vendetta nei confronti del marito, attaccando il proprio figlio. Nella letteratura psichiatrica, emergono casi clinici rappresentativi di madri, ma anche di baby-sitter e casi di infermiere che riferiscono il desiderio di dover sentire la compassione degli altri, di doversi sentire importanti attraverso la malattia dei figli o pazienti ospedalizzati; le madri che procurano una patologia, sono madri ‘apparentemente’ attente e affettuose, di norma con una preparazione medica o infermieristica, ma in realtà è vero l’esatto opposto. La deprivazione affettiva nell’infanzia induce queste madri a procurare una malattia al proprio figlio per soddisfare, indirettamente, i propri bisogni affettivi. La diagnosi della Sindrome di Munchausen è complessa, poiché i sintomi riferiti dai pazienti non sono ascrivibili a nessuna malattia conosciuta, pertanto, i medici sono costretti ad approfondire con ulteriori esami ed accertamenti; risulta difficile credere o sospettare che una madre possa arrivare fino a tanto, poiché, fino all’ultimo essa appare come una madre premurosa e presente e, sicuramente, necessita di un’accurata osservazione. Diversi autori sono concordi nel rilevare un disturbo psichiatrico nel caregiver, cioè la madre, ascrivibile a un quadro depressivo o una personalità borderline.
di Barbara Cortimiglia