Ridurre la fame con una tecnica non invasiva che interviene sul cervello

Non soltanto diete, farmaci e bisturi. La battaglia contro l’obesità si combatte anche con mini scosse al cervello. La stimolazione magnetica transcranica (dTms) – tecnica non invasiva e non dolorosa – è la soluzione individuata dallo studio dei ricercatori del Policlinico di San Donato, guidati da Livio Luzi, per ridurre la fame. Uno studio che ne ha dimostrato l’efficacia e la sicurezza come coadiuvante nel trattamento dell’obesità. Ne abbiamo parlato con la dottor Giuseppe Marinari, responsabile di Chirurgia Bariatrica di Humanitas.

Ridurre la fame: Peso ridotto di oltre l’8% con una nuova tecnica

Lo studio ha coinvolto circa 50 pazienti, di cui 33 sono stati seguiti per oltre un anno, e ha somministrato 15 sedute di stimolazione 3 volte alla settimana per 5 settimane, riscontrando una perdita di peso e una riduzione dell’indice di massa corporea molto significative, in media dell’8,4% del peso corporeo iniziale. Sono quasi nove chili quelli che separano i pazienti che si sono sottoposti a stimolazione magnetica transcranica dal gruppo di controllo, con effetti stabili nel corso dell’intero anno di follow-up. La ricerca non nasce dal nulla: lo stesso gruppo aveva già riportato in diversi congressi internazionali sia l’efficacia della stimolazione magnetica transcranica profonda nel modificare i batteri intestinali, il cosiddetto ‘microbiota’, favorendo il calo ponderale nei soggetti obesi, sia la validità della stessa tecnica nel ridurre il desiderio impellente di cibo grazie all’azione regolatoria esercitata sui meccanismi cerebrali coinvolti nella gratificazione associata all’assunzione di cibo.

Fame, da cosa dipende?

Sappiamo che la fame è regolata da fattori legati alle nostre scelte e al nostro metabolismo – spiega Luzi, responsabile dell’area di Endocrinologia e Malattie metaboliche dell’ospedale e ordinario di Endocrinologia all’Università di Milano –, ma sappiamo anche che nei comportamenti alimentari anomali sono implicate alcune disfunzioni nei circuiti cerebrali della ricompensa, modulati dalla dopamina. La dTms è già usata con buoni risultati in ambito neurologico per modulare il sistema dopaminergico in malattie neuropsichiatriche come la depressione maggiore e le dipendenze (da nicotina, alcool e cocaina), la nostra ipotesi era che si potesse usare anche per ridurre il desiderio di cibo, supportando, così, le terapie comportamentali ‘classiche’ per la perdita di peso, incentrate sull’attività fisica e la dieta”. Questo nuovo studio costituisce il punto di partenza di un approccio altamente innovativo, non farmacologico, non invasivo, a basso costo e ripetibile nel tempo per trattare le persone obese e, auspicabilmente, in un futuro non lontano, anche per prevenire lo sviluppo dell’obesità nella fascia di età a più alto rischio, cioè gli adolescenti. Il gruppo di ricerca di Luzi è, infatti, impegnato a sperimentare anche altri tipi di stimolazione cerebrale ancora più agevoli da utilizzare – ad esempio micro-correnti elettriche – sempre volte a modulare, in modo non invasivo, i circuiti cerebrali coinvolti nella regolazione della fame sia metabolica sia voluttuaria.

La parola di Humanitas

La terapia illustrata ha un suo fascino, ma ci sono alcune cose da osservare – ha commentato lo specialista –. Quando si parla di fare perdere l’8% del peso totale ad una persona obesa non si sta parlando di terapia dell’obesità, ma del sovrappeso, oppure di ‘terapia palliativa’. Se una persona pesa 120 chili o più a cosa serve fare perdere 9-10 chili? Sicuramente, a fare stare meglio le persone, ma non a guarirle dal loro problema: se peso 120 e dopo qualunque terapia ho perso 9-10 chili la mia obesità è ancora lì. Oggi, anche i pochi farmaci permessi in Italia e in Europa, in genere, offrono gli stessi risultati, e la terapia conservativa (dieta + attività fisica + eventuale psicoterapia) procura un calo del 5-10% del peso. Insomma, non mi pare che questa terapia abbia una marcia in più rispetto a quanto disponibile. Altro discorso se pensiamo a un’eventuale forma di prevenzione dell’obesità applicata al primo insorgere del sovrappeso: questo potrebbe essere un campo di applicazione molto interessante, anche se mi pare di capire che studi, in questo senso, non ne siano ancora stati fatti”. (Humanitas.it)