Le arti visive sono per loro natura portatrici di concettualità, ma tramite uno sguardo capace di inglobarle in un contesto di significati, ossia visionarle con attitudine interpretativa. Ecco, allora, che l’opera si stacca dal suo artefice per rendersi disponibile alla soggettività, all’occhio attento, in grado di individuare elementi del sentire interiore e agire sull’opera un intervento personale in cui mettere in campo tanto istanze inconsce e immagini interne, quanto bisogni, desideri e obiettivi personali. Il linguaggio dell’arte tradisce, così, il suo intrinseco valore universale nelle pressoché infinite possibilità di lettura, realizzando la magia della ricorrente dialettica tra autore e fruitore che consegna l’opera all’eternità. Il quesito inerente la scelta tra ‘concettuale’ o ‘retinico’ trova, così, una risposta nel rimbalzo tra scelte individuali e risposte universali, spazi interni ed esterni, ‘qui e ora’ e infinite possibilità future. Da tali premesse, prende vita l’ultima rassegna di Ignazio Pandolfo, ‘Pittura aconcettuale’, che verrà inaugurata sabato 5 giugno, alle ore 18.00, nei locali di Spazio Macos, in Via Cardines, 16. Introdotte da Mamy Costa, curatrice della mostra, le opere saranno illustrate dallo stesso autore.
Un percorso astratto giocato su cromie intense di forte potenzialità evocativa che l’artista mette a disposizione del visitatore, perché legga in esse dei significati, non quelli dell’autore, legati all’istintualità dell’atto creativo, bensì quelle inerenti il libero fluire di contenuti dietro lo sguardo soggettivo del fruitore: “Dal primo dischiudersi della coscienza umana, fino alla metà del secolo scorso – afferma Pandolfo –, la storia dell’arte si è dipanata seguendo, indipendentemente dai diversi linguaggi, il fondamentale precetto/compito di trasmettere attraverso le opere i più diversi elementi concettuali e attenendosi rigidamente all’imperativo che Idea e Opera siano indispensabili l’una all’altra, in un’ineludibile e paritetica complementarietà. Così, è stato fino agli anni Cinquanta, quando alcune correnti culturali, apparentemente indipendenti tra loro, hanno iniziato a mettere in discussione tale principio.
Nei primi del Novecento, Marcel Duchamp – ponendo l’accento sul messaggio concettuale derivante dalla decontestualizzazione degli oggetti più umili – attribuì maggior valore all’Idea piuttosto che all’Opera tradizionale, da lui definita ‘retinica’, basata semplicemente sul godimento estetico della visione. Successivamente, altre correnti di pensiero, come il Dadaismo, hanno contribuito al medesimo risultato. Per cui l’Opera pittorica – retinica e tutt’altro che minimalista – rimane il solo medium capace di evocare quel misterioso messaggio, sconosciuto all’autore, che può svilupparsi ed essere trasmesso solo attraverso il silenzioso e meditativo dialogo tra il fruitore e l’opera stessa”. Ciò comporta che, come avviene per tutte le relazioni umane, in cui non sempre si stabilisce una risonanza emotiva, qualora la scintilla comunicativa tra opera e osservatore non dovesse scattare, essa rimane disponibile al dialogo col prossimo osservatore, pronta a far emergere una pressoché infinita varietà di significati possibili. ‘Pittura aconcettuale’ sarà visitabile su appuntamento fino al 16 giugno prossimo, dal martedì al sabato, dalle ore 17.00 alle ore 19.00.