Si stima che ben 4.000 filippini vivano a Malta. Alla comunità filippina cattolica, viene data l’opportunità di mantenere vive le sue tradizioni religiose anche a Malta. Il parroco della parrocchia di Marsascala, don Roderick Camilleri, insieme con don Victor Agius, li ha invitati a organizzare la Festa di Santo Nino che rappresenta la santità di Gesù bambino. Domenica mattina, 19 gennaio, lungo il litorale di Marsascala, i filippini hanno cantato e ballato davanti alla statua di Santo Nino che è stata circondata da fiori che sono poi portati a casa come segno di devozione. Don Victor Agius, che ha una stragrande familiarità con la cultura filippina perché ha trascorso 30 anni lavorando come missionario nel Paese, ha affermato che nelle Filippine questa è stata una grande festa celebrata la terza domenica dell’anno.
Santo Niño, nelle Filippine, è una grande festa che si celebra a Manila, a Cebu, che è un’Isola nelle Filippine centrali, e, persino, a Panai dove hanno la loro versione di Santo Nino che è il santo patrono di tutti nelle Filippine, dove una statua può essere trovata nella casa di tutti, ha detto il sacerdote. Dasey Castro, che vive a Malta da tre anni, e Dante Sarita, che è qui da sei anni, afferma che è una festa di grande devozione. Dice Dante Sarita: “È una celebrazione che, di solito, la rendiamo stravagante in modo che ciascuno si goda la festa, è il nostro modo di dire grazie al Nostro Signore Gesù Cristo perché tutte le benedizioni provengono da Lui, viva Santo Nino! Santip nel nostro dialetto significa che quando ti chiamo signor è chiamando Dio, Santo Nino il santo bambino. Significa molto per me perché riunisce le persone, soprattutto a Malta, e portiamo unità nella diversità”.
Nella Chiesa di Sant’Anna è stata celebrata la messa con la partecipazione di un coro della comunità filippina seguita da un pasto tradizionale tipico del Paese (arrosto di maiale), a cui tutti sono stati invitati. Questa attualissima iniziativa mi fa ricordare il discorso di Papa Francesco all’udienza generale del mercoledì, 25 settembre 2013, quando disse sull’articolo della fede Credo la Chiesa: “La Chiesa Cattolica sparsa nel mondo ‘ha una sola fede, una sola vita sacramentale, un’unica successione apostolica, una comune speranza, la stessa carità’ (n. 161). È una bella definizione, chiara, ci orienta bene. Unità nella fede, nella speranza, nella carità, unità nei Sacramenti, nel Ministero: sono come pilastri che sorreggono e tengono insieme l’unico grande edificio della Chiesa. Dovunque andiamo, anche nella più piccola parrocchia, nell’angolo più sperduto di questa terra, c’è l’unica Chiesa; noi siamo a casa, siamo in famiglia, siamo tra fratelli e sorelle. E questo è un grande dono di Dio! La Chiesa è una sola per tutti. Non c’è una Chiesa per gli Europei, una per gli Africani, una per gli Americani, una per gli Asiatici, una per chi vive in Oceania, no, è la stessa ovunque. È come in una famiglia: si può essere lontani, sparsi per il mondo, ma i legami profondi che uniscono tutti i membri della famiglia rimangono saldi qualunque sia la distanza. Penso, per esempio, all’esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro: in quella sterminata folla di giovani sulla spiaggia di Copacabana, si sentivano parlare tante lingue, si vedevano tratti del volto molto diversi tra loro, si incontravano culture diverse, eppure c’era una profonda unità, si formava un’unica Chiesa, si era uniti e lo si sentiva.
Chiediamoci tutti: io come cattolico, sento questa unità? Io come cattolico, vivo questa unità della Chiesa? Oppure non mi interessa, perché sono chiuso nel mio piccolo gruppo o in me stesso? Sono di quelli che ‘privatizzano’ la Chiesa per il proprio gruppo, la propria Nazione, i propri amici? È triste trovare una Chiesa ‘privatizzata’ per questo egoismo e questa mancanza di fede. È triste! Quando sento che tanti cristiani nel mondo soffrono, sono indifferente o è come se soffrisse uno di famiglia? Quando penso o sento dire che tanti cristiani sono perseguitati e danno anche la vita per la propria fede, questo tocca il mio cuore o non mi arriva? Sono aperto a quel fratello o a quella sorella della famiglia che sta dando la vita per Gesù Cristo? Preghiamo gli uni per gli altri? Vi faccio una domanda, ma non rispondete a voce alta, soltanto nel cuore: quanti di voi pregano per i cristiani che sono perseguitati? Quanti? Ognuno risponda nel cuore. Io prego per quel fratello, per quella sorella che è in difficoltà, per confessare e difendere la sua fede? È importante guardare fuori dal proprio recinto, sentirsi Chiesa, unica famiglia di Dio!”.
di Fra Mario Attard