Due giorni prima della celebrazione solenne del natale, il mercoledì 23 dicembre 2020, presso la chiesa dei Cappuccini di Floriana, si è celebrato l’Akathistos, ossia, l’inno liturgico dedicato alla Madre di Dio. Da quello che ricordo io, almeno da quando il Signore mi fece entrare ai Cappuccini, è stata la prima volta che questa bellissima cosa accadde. L’Inno venne chiamato Akathistos, esattamente perché si prega ‘stando in piedi’. La celebrazione di questo Inno liturgico bizantino, dedicato alla Vergine Maria, è stato preseduto dal papas archimandrita George Mifsud Montanaro e papas Martin Zammit. Io, come semplice frate, ho avuto la grazia di partecipare a questo Inno in un modo molto umile e secondario. La struttura metrica e sillabica dell’Akathistos, che risale al secolo V, è ispirata dalla visione della Gerusalemme Celeste descritta nel capitolo 21 dell’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse. Nell’Akathistos, la Vergine Maria viene identificata come ‘Sposa’ senza sposo terreno. Essa emerge come la Sposa Vergine dell’Agnello in tutto il suo splendore e la sua perfezione.
L’Akathistos ha 24 stanze, che, in greco, si chiamiamo oikoi. Esse sono le lettere dell’alfabeto greco con le quali, man mano, ciascuna delle stanze da inizio. Uno si può dividere, tranquillamente, l’Akathistos a metà, cioè la parte storica e cristologica e quella della fede ed ecclesiale. In tutte due le parti, risplende il mistero della Madre di Dio. Le stanze dispari si estendono grazie ai 12 salutazioni mariane che sono un bellissimo mescolio di narrativa e dogma e raggruppati con il ritornello di chiusura: “Gioisci, sposa senza nozze!”.Le stanze che gli seguono hanno uno sfondo cristologico. Infatti, essi tutti si concludono con l’acclamazione a Cristo:“Alleluia!”.
La prima parte dell’Akathistos (stanze 1-12) osserva il ciclo del Natale, ispirato ai Vangeli Dell’Infanzia (Lc 1-2; Mt 1-2). Essa propone e canta il mistero dell’incarnazione (stanze 1-4), l’effusione della grazia su Elisabetta e Giovanni (stanza 5), la rivelazione a Giuseppe (stanza 6), l’adorazione dei pastori (stanza 7), l’arrivo e l’adorazione dei magi (stanze 8-10), la fuga in Egitto (stanza 11), l’incontro con Simeone (stanza 12): eventi che superano il dato storico e diventano lettura simbolica della grazia che si effonde, della creatura che l’accoglie, dei pastori che annunciano il Vangelo, dei lontani che giungono alla fede, del popolo di Dio che uscendo dal fonte battesimale percorre il suo luminoso cammino verso la Terra promessa e giunge alla conoscenza profonda del Cristo.
La seconda parte (stanze 13-24) offre e canta ciò che la Chiesa al tempo di Efeso e di Calcedonia professava di Maria, nel mistero del Figlio Salvatore e della Chiesa dei salvati. Maria emerge come la Nuova Eva, vergine di corpo e di spirito, che, col Frutto del suo grembo, riconduce e conduce noi mortali al paradiso perduto (stanza 13); è la Madre di Dio, che diventando sede e trono dell’Infinito, apre le porte del cielo e vi introduce gli uomini (stanza 15); è la Vergine partoriente, che richiama la mente umana a chinarsi davanti al mistero di un parto divino e a illuminarsi di fede (stanza 17); è la sempre-vergine, inizio della verginità della Chiesa consacrata a Cristo, sua perenne custode e amorosa tutela (stanza 19); è la Madre dei Sacramenti pasquali, che purificano e divinizzano l’uomo e lo nutrono del Cibo celeste (stanza 21); è l’Arca Santa e il Tempio vivente di Dio, che precede e protegge il peregrinare della Chiesa e dei fedeli verso l’ultima Pasqua (stanza 23); è l’avvocata di misericordia nell’ultimo giorno (stanza 24).
Questo Inno, decisamente e divinamente ispirato, ha un grandissimo e vastissimo pregio. Infatti, esso coinvolge l’intero disegno di Dio che si presenta nella creazione e le creature, dalla sue origini fino alla sua conclusione sempre in vista alla loro completezza in Cristo. Da questo soffio storico-salvifico si passa, in un modo esplicito o implicito, alle fonti bibliche sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento; la dottrina ufficiale della Chiesa partendo dai Concili di Nicea (325), di Efeso (431) e di Calcedonia (451); le spiegazioni dommatiche dei celebri Padri orientali del IV e del V secolo, dai quali dedurre dei concetti ed essenziali affermazioni. Infine, grazie alla saggia metodologia mistagogica – che prende le immagini più suggestivi dalla Creazione e dalle Scritture – solleva, piano piano, la mente e l’accompagna e la conduce alla porta del mistero dell’incarnazione del Verbo di Nostro Salvatore Gesù Cristo, contemplato e celebrato. Probabilmente, è stato uno dei Padre di Calcedonia che fu l’autore di questo splendido Inno alla Madre di Dio. Uno può dire liberamente che questo testo è il frutto maturo della tradizione più antica della Chiesa unita, che merita di essere ammesso e cantato da tutte le Chiese e comunità ecclesiali.
di Fra Mario Attard