Oggi, martedì 18 maggio, è la festa di san Felice da Cantalice. O, come era conosciuto ai suoi tempi, di ‘frate Deo gratias’. Felice nacque a Cantalice (Rieti), nel 1515. Passò trent’anni della sua vita lavorando da contadino. Felice nutriva un grande amore per il silenzio e la preghiera meditativa, poi sentì la chiamata di Dio ed entrò nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Dopo qualche tempo, a fra Felice venne quasi subito affidato l’incarico di questuante. Come dice la sua storia, egli lo adempì con esemplare semplicità d’animo per quarant’anni. In continua preghiera, in umile letizia, percorreva le vie di Roma, assistendo ammalati e poveri, per i quali questuava, e invitava i fanciulli a cantare le lodi divine. Era chiamato ‘frate Deo gratias’ per il suo abituale saluto. San Filippo Neri gli fu intimo amico e san Carlo Borromeo ne ricercava la conversazione. Il suo santo esempio è splendidamente descritto nella colletta della messa dedicata proprio a lui. “O Dio, che in san Felice hai dato alla Chiesa e alla Famiglia serafica un luminoso esempio di semplicità evangelica e di vita consacrata alla tua lode, donaci di seguire il suo esempio cercando con gioia e amando solamente Cristo. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli”.
Era amato e stimato da tutti, Felice morì a Roma l’8 maggio 1587. Nel 1625, fu dichiarato beato da Urbano VIII e, nel 1712, venne canonizzato da Clemente XI. L’ex ministro generale dei frati minori cappuccini, fra Mauro Jöhri, in una lettera datata il 18 maggio 2012, l’aveva descritto così: “Lo stare quotidianamente in mezzo alla gente di ogni condizione sociale lo portava ad incontrare le tante miserie spirituali e materiali del suo tempo. Tutto raccoglieva nella sua bisaccia e, rientrato in convento, la svuotava nelle mani del suo guardiano: c’era il pane, c’erano le fave, c’era quanto gli era stato dato, ma c’erano anche tutte le disgrazie che aveva visto, i bambini che aveva fatto cantare, il pianto di tanti, il buon cuore di chi non gli aveva negato l’elemosina. Tutto e tutti fra Felice, contento, portava in chiesa e per loro offriva al Signore la sua preghiera e il resto della sua giornata cioè, di solito, quasi tutta la notte. A questo, aggiungeva le penitenze di ogni genere per impetrare l’intervento di Dio per tutti, poveri o ricchi, tutti bisognosi della misericordia di Dio.
Lo stare in mezzo alla gente non lo distraeva dalla sua unione con Dio, anzi era il suo modo di contemplare il mistero dell’amore di Dio per gli uomini. Potremmo dire che fra Felice era un contemplativo sulle strade. In mezzo alla gente, stava con allegria, ilare, in modo semplice, caratteristiche che lo rendevano vicino a tutti. Un vero frate del popolo! Lo conoscevano come frate Deo gratias. Era, infatti, questo il suo motto, il suo modo di ringraziare per l’elemosina ricevuta. Se poi qualcuno si burlava di lui e lo giudicava un pazzo, egli ne godeva interiormente e riusciva a conquistarsi l’amicizia anche di questi, perché li accoglieva con la pazienza di Dio che sa aspettare il peccatore e mai smette di amarlo”. San Felice, prega per i tuoi confratelli cappuccini che anche noi, aiutati con la tua potente intercessione, possiamo veramente essere fratelli l’uno per l’altro, uniamo la contemplazione con l’azione e di essere fratelli per il popolo di Dio. San Felice, frate Deo gratias, prega per noi!
di Fra Mario Attard