Dai dati ISTAT, emergono delle realtà sconcertanti sulla violenza contro le donne, definita anche violenza di ‘genere’, evidenziando con questo termine la dimensione ‘sessuata’ del fenomeno. Dall’inizio del 2013, a giugno, ci sono stati in Italia 65 femminicidi: in media viene uccisa una donna ogni tre giorni all’incirca e quasi sette milioni, nell’arco della loro vita, hanno subito qualche forma di violenza. Una vera piaga sociale che attraversa tutti i Paesi, tutte le culture, senza distinzioni economiche, d’istruzione o di età; essa si consuma sia nelle famiglie unite che in quelle dissestate, sia nella classe borghese che tra i poveri, sia dove regna la cultura e dove, invece, c’è ignoranza. Un altro dato preoccupante è che il 90% dei soprusi non viene denunciato o per vergogna o per paura. Si va dalla violenza fisica a quella psicologica, allo ‘stalking’, tutte queste varie forme hanno un denominatore comune: il potere del maschio, frutto di un’atavica cultura, di un distorto diritto di famiglia e che, ora più che mai, si vede spiazzato dal cammino della donna verso nuovi orizzonti di emancipazione; è proprio questa evoluzione femminile che lo porta a diventare sempre più fragile e insicuro e, di conseguenza, più aggressivo. Non è più la notte, la strada deserta, il bruto che si nasconde dietro a un portone a fare paura alle donne, ma stranamente è l’amico, il compagno, l’ex convivente, spesso persone vicine alla vittima; la famiglia, il luogo dove dovrebbe sentirsi più sicura, diventa una trappola anche mortale in molti casi. La donna è stata e continua a essere violentata in mille modi: la si violenta nella sua immagine, attraverso i media, creando un modello distorto, la si violenta nel diritto processuale che, discriminandola, usa misure diverse sulla vittima e sul violentatore; ricordiamo il caso, avvenuto in Italia nel 1999, riguardante uno stupro su una diciottenne, quando la Corte Suprema, rilevando che al momento dell’aggressione la ragazza indossava i jeans, ha dichiarato: “tutti sanno che i jeans non possono essere sfilati neanche parzialmente, se non con la collaborazione attiva della persona che li porta”… la Corte ha ritenuto, quindi, la ragazza consenziente.
La donna è violentata anche nei suoi diritti politici e professionali: il cosiddetto ‘soffitto di cristallo’, intendendo con questo termine quella barriera invisibile che deriva da un’organizzazione di strutture a dominanza maschile e che impedisce alle donne, ancora oggi, di accedere a certi livelli di potere, incontrando sempre nella loro ascesa un ostacolo invisibile, costituito da diverse discriminazioni che non le permettono di superare una determinata soglia. In definitiva, la violenza sulla donna è un problema che riguarda, prettamente, l’uomo, in quelli che sono i suoi retaggi culturali, che lo portano sempre a gestire una posizione di predominio. Le strutture patriarcali sono, ancora oggi, alla base di ogni società, anche se in modi diversificati; non servono solo leggi, ma campagne di sensibilizzazione contro gli stereotipi sui ruoli della donna. Bisogna lavorare sul maschio, per svincolarlo da certi pregiudizi, sradicarlo da tanti tabù e aiutarlo a rivedere tutta la sua cultura maschilista; si deve ristabilire un equilibrio di rapporto tra i due sessi, equilibrio che finora continua a essere sbilanciato. La donna non sarà mai libera se non sarà prima libero l’uomo. Pochi sono i nomi delle vittime che conosciamo, purtroppo, solo quando il caso si conclude con un omicidio; le altre vivono nell’oscurità, all’ombra di un destino crudele, spesso abbandonate a se stesse. Ricordiamo le donne dei paesi islamici, dove avvengono matrimoni combinati di donne ancora bambine, dove esiste ancora la lapidazione e l’infibulazione. Qui da noi, si prendono a pugni le donne, ‘violentando la legge’, gli islamici (non tutti per fortuna), ‘rispettando la loro’.
Il caso di Hina che fu accoltellata a Brescia dal padre, Vjosa uccisa dal marito, a Reggio Emilia, Paola colpita a morte da un amico, a Torre del Lago, e, ancora, Chiara, Meredith, Yara, Melania, Francesca, Roberta e tantissime altre… continuiamo a occupare i loro posti, ricordandoli non solo il 25 novembre, ma quotidianamente in ogni nostro gesto, che dovrà essere sempre più consapevole di quanto chi ci sta vicino, spesso, è lontano da noi in tutte le modalità di vivere i rapporti. Auguriamoci che in una società cosiddetta ‘civile’, si possa fare qualcosa per evitare il dilagarsi di questa epidemia, cominciando proprio in seno alla famiglia; è proprio qui che i genitori devono educare sin da piccoli i loro figli, maschi e femmine, a culture paritarie, propinando modelli comportamentali senza discriminazione di sesso, per non trovarci poi davanti a maschi cresciuti, diventati adulti, ma mai ‘UOMINI’. Auspico a tutte le donne un futuro senza paura che dietro a ogni nostro compagno si possa nascondere un nemico.
di Rosanna Affronte