A settembre sul mercato solo mascherine chirurgiche italiane

A settembre, ci saranno sul mercato solo mascherine chirurgiche italiane. Lo ha garantito il commissario per l’emergenza, Domenico Arcuri, in commissione Affari sociali alla Camera, sottolineando che per quella data la produzione italiana sarà a pieno regime. “Perché in giro si vedono ancora le mascherine cinesi? Le aziende italiane, poverine, ci mettono qualche tempo a raggiungere la produzione massima. In Cina, le fanno da qualche decennio. Ma a settembre non ci saranno più mascherine cinesi, perché quelle italiane basteranno al nostro fabbisogno”.

Arcuri ha, poi, ricordato che oltre alla riconversione di 135 imprese che hanno iniziato a produrre i DPI, lo Stato ha avviato la produzione delle macchine necessarie a realizzare i dispositivi. “Abbiamo fatto un accordo con due grandi aziende italiane che stanno producendo 51 macchine che a regime, entro giugno, produrranno 31 milioni di mascherine chirurgiche al giorno”. E, dunque, ha concluso, “la conversione delle imprese e la produzione di macchine ci fa ritenere che, al più tardi alla fine di settembre, non dipenderemo più dall’importazione dei dispositivi da altri luoghi del mondo”. Quanto alle imprese che si sono riconvertite, Arcuri ha sottolineato che, ad oggi, sono in essere contratti con 19 aziende “che hanno ricevuto da noi ordini per un miliardo e 823 milioni di mascherine, ad un prezzo medio di vendita di 42 centesimi”. Ordini“che sono superiori al totale delle mascherine chirurgiche che abbiamo acquisito in Cina da 15 fornitori, che ci daranno complessivamente un miliardo e 807 milioni di mascherine”.

Stiamo facendo un accordo con l’Ordine dei medici ha, quindi, annunciato – per rifornire di mascherine chirurghi e dentisti: garantiremo loro 10 milioni al mese” di dispositivi. Per quanto riguarda gli esami di maturità, “a partire dal 17 giugno e per dieci giorni, garantiremo a tutte le scuole le mascherine per il personale docente, non docente e anche per gli studenti che la dovessero perdere per strada o dimenticare”. “Con il Comitato tecnico scientifico, inoltre, valutiamo se introdurre modalità più veloci e meno dipendenti dai reagenti per fare i tamponi, come le macchine aperte e i kit. L’Italia è il Paese, tra i più grandi, in cui si fanno più tamponi al mondo. Non ne facciamo abbastanza, però, perché siamo uno Stato sostanzialmente federalista nella sanità e le Regioni hanno comportamenti molto diversi nei test. I reagenti per estrazione, d’altronde, sono carenti in tutto il mondo. Non solo, in Italia esistono 211 laboratori accreditati per i tamponi che sovente usano combinazioni di reagenti di amplificazione e di estrazione differenti: quindi, bisogna acquisire un numero ampio di prodotti”.