A Pompei, dove sta di casa la storia del passato, sono tornati alla luce due corpi di uomini, risalenti al 79 d.C., presumibilmente il padrone e il suo schiavo, rimasti uccisi da quella che è forse una delle calamità naturali più famose della storia, l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. La scoperta è stata resa possibile da un’antica tecnica, quella dei calchi in gesso, ideata nella seconda metà dell’Ottocento da Giuseppe Fiorelli, il più importante archeologo che operò a Pompei, e utilizzata fino ai giorni nostri. Il metodo prevede la realizzazione di una colata di gesso liquido nelle cavità lasciate dai corpi che si sono decomposti all’interno del materiale vulcanico. Una volta che il gesso si è solidificato, il terreno circostante viene rimosso per portare alla luce la forma ottenuta, dare vita alle forme scheletriche del corpo. “L’archeologia non sarà più studiata nei marmi o nei bronzi, ma sopra i corpi stessi degli antichi, rapiti alla morte, dopo diciotto secoli di oblio”, scrive Fiorelli il 13 febbraio 1863. La tecnica, originaria dell’Ottocento, ritenuta ai giorni nostri ancora altamente innovativa, ha portato alla realizzazione di oltre cento calchi. Col passare del tempo, tuttavia, il metodo della colatura del gesso si è perfezionato e il risultato degli ultimi giorni ne è la sorprendente testimonianza. Gli studiosi, infatti, sono venuti a conoscenza di dettagli impensabili analizzando scheletri, come lineamenti, tipologia degli abiti indossati, e, persino, vene delle mani che sono apparse come fossero ancora pulsanti.
Analizzando tutto il corpo, gli studiosi sono venuti a conoscenza di ben altri, interessanti, dettagli. Il primo corpo, con grande probabilità, appartiene a un ragazzo tra i 18 e i 23 anni, alto 1,56 metri. Ha il capo reclinato, con i denti e le ossa del cranio ancora parzialmente visibili. Si rilevano tracce di una tunica lunga fino al ginocchio, di una stoffa pesante, probabilmente fibre di lana, di cui è ben visibile l’impronta del panneggio sulla parte bassa del ventre, con ricche e spesse pieghe. Il braccio sinistro, appare leggermente piegato con la mano, ben delineata, appoggiata sull’addome, mentre il destro è appoggiato sul petto. Le gambe sono nude. Vicino al volto ci sono frammenti di intonaco bianco, trascinato dalla nube di cenere. La presenza di una serie di schiacciamenti vertebrali fa pensare che potesse svolgere lavori pesanti: probabilmente, era uno schiavo. Il secondo corpo è in una posizione completamente diversa rispetto al primo. Il volto è riverso per terra, a un livello più basso del corpo, e il gesso ha delineato con precisione il mento, le labbra e il naso, mentre si conservano, parzialmente a vista, le ossa del cranio. Le braccia sono ripiegate con le mani sul petto, mentre le gambe sono divaricate e con le ginocchia piegate. L’abbigliamento è più articolato rispetto all’altro uomo. Sotto il collo della vittima, vicino allo sterno, dove la stoffa crea evidenti e pesanti pieghe, si conservano, infatti, impronte di tessuto riconducibili a un mantello in lana fissato sulla spalla sinistra.
In corrispondenza della parte superiore del braccio sinistro, vi è anche l’impronta di un tessuto diverso, quello di una tunica, che sembrerebbe essere lunga fino alla zona pelvica. Anche vicino al volto di questa vittima ci sono frammenti di intonaco bianco, probabilmente crollati dal piano superiore. La robustezza del corpo, soprattutto a livello del torace, suggerisce che si tratti di un uomo, più anziano rispetto al primo, con un’età compresa tra i 30 e i 40 anni, alto circa 1,62 metri. “Ritorno adesso da Pompei e ho l’animo pieno di mestizia per uno spettacolo miserando […] sono morti da diciotto secoli, ma sono creature umane che si vedono nella loro agonia. Lì non è arte, non è imitazione; ma sono le loro ossa, le reliquie della loro carne e de’ loro panni mescolati al gesso; è il dolore della morte che riacquista corpo e figura. Io la vedo quella meschina, io odo lo strido con cui chiama la mamma, e la vedo cadere e dibattersi […] Finora si è scoverto templi, case ed altri oggetti che interessano la curiosità delle persone colte, degli artisti e degli archeologi; ma ora tu, o mio Fiorelli, hai scoverto il dolore umano, e chiunque è uomo lo sente”, scrive Settembrini il 13 febbraio 1863.
Ma cos’è avvenuto a Pompei il 79 d.C.? Durante la prima fase eruttiva del Vesuvio, quando l’antica Città romana venne ricoperta dai lapilli, le prime vittime furono quelle intrappolate negli ambienti, investite dai crolli provocati dal materiale vulcanico depositatosi fino a un’altezza di tre metri. Di queste persone, sono rimasti soltanto gli scheletri. Poco dopo, quando la Città venne colpita dal flusso piroclastico che riempì gli spazi non ancora invasi dai materiali vulcanici, le persone morirono all’istante per shock termico. I corpi rimasero nella posizione in cui erano stati investiti dal flusso e il materiale cineritico solidificatosi ne ha conservato l’impronta dopo la decomposizione. Mentre tutto questo accadeva, la Città era in fermento, i pompeiani stavano cercando di salvarsi la vita, ma poco prima erano immersi nelle loro consuete attività, così come dimostrano tutti i ritrovamenti che restituiscono le tracce della vita quotidiana nelle botteghe, per le strade, nelle terme, nelle domus e nelle ville, come quella suburbana del Sauro Bardato a Civita Giuliana, a 700 metri da Pompei, dove uno scavo in corso dal 2017 ha riportato alla luce i resti di una lussuosa abitazione che, con una grande terrazza panoramica, dominava il Golfo di Napoli e di Capri.
È proprio sotto questa terrazza, nel criptoportico, che sono stati trovati i corpi dei due fuggiaschi, quello di un uomo abbiente, il padrone, e, con molta probabilità, quello del suo schiavo. “Questa scoperta straordinaria dimostra che Pompei è importante nel mondo non soltanto per il grandissimo numero di turisti – dichiara il ministro per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, Dario Franceschini –, ma perché è un luogo incredibile di ricerca, di studio, di formazione. Sono ancora più di venti gli ettari da scavare, un grande lavoro per gli archeologi di oggi e del futuro”. “Uno scavo molto importante quello di Civita Giuliana – dichiara il direttore del Parco Archeologico di Pompei, Massimo Osanna –, perché condotto insieme alla Procura di Torre Annunziata per scongiurare gli scavi clandestini e che restituisce scoperte toccanti. Queste due vittime cercavano forse rifugio nel criptoportico, dove invece vengono travolte dalla corrente piroclastica alle 9 di mattina. Una morte per shock termico, come dimostrano anche gli arti, i piedi, le mani contratti. Una morte che per noi, oggi, è una fonte di conoscenza incredibile”.
di Sergio Lanfranchi