Mancanza di indipendenza della magistratura, avvocati incriminati per terrorismo per il solo fatto di aver parlato con i clienti, arresti e detenzioni illegittime. Sono solo alcuni degli elementi che emergono dal Rapporto sull’avvocatura in Turchia realizzato dagli osservatori inviati dall’OCF, l’Organismo Congressuale Forense, e dall’MGA – Sindacato Nazionale Forense, per seguire i processi del 6 e 7 aprile scorsi a Istanbul contro alcuni colleghi turchi. Fra gli imputati anche Barkin Timtik, sorella di Ebru Timtik, l’avvocatessa morta in carcere in seguito a un lunghissimo sciopero della fame. “La repressione giudiziaria verso l’avvocatura si è realizzata, e tutt’ora si realizza, attraverso l’equiparazione delle condotte degli assistiti con gli avvocati”, si legge nel documento stilato dall’avvocato Francesca Pesce. Molti degli imputati dei due procedimenti in osservazione sono accusati di tali reati per il solo fatto di aver visitato in carcere i loro assistiti o per le difese tecniche esercitate nel corso dei procedimenti. Non solo. La Turchia, puntualmente, ignora le sentenze della Corte Europea. Sebbene membro del Consiglio d’Europa e per questo firmataria della Convenzione Europea sui Diritto dell’Uomo e vincolata alle disposizioni e alla giurisprudenza della CEDU, la Turchia rifiuta il rilascio immediato e incondizionato di Selahattin Demirtaş, per come disposto dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 2018, confermata dalla sentenza della sua Grande Camera del 22 dicembre 2020. Per molti avvocati, le imputazioni sono di appartenenza all’organizzazione terroristica PKK e apologia contro l’unità dello Stato. Accuse che nascono dall’attività politica e professionale degli avvocati. Le prove a carico consistono in rapporti della polizia, intercettazioni, fotografie che collegano gli avvocati a luoghi di manifestazioni oppure alle visite in carcere ai clienti o ancora all’esposizione delle linee difensive nei procedimenti che vedevano i loro clienti imputati. “Una situazione allucinante – commenta il coordinatore dell’OCF, Giovanni Malinconico –, per cui il Governo italiano e le istituzioni europee dovrebbero prestare massima attenzione. Le voci di denuncia devono moltiplicarsi, se non altro per aiutare la società civile turca che di questa repressione continua è vittima, ed è per questo che oggi aggiungiamo anche la nostra al coro delle proteste”.