Giovedì 6 maggio 2021, la Camera dei Deputati, dietro commissione di ‘Iniziative per la tutela della salute fisica e mentale dell’infanzia e dell’adolescenza nel quadro delle misure per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 (Seguito della discussione congiunta e conclusione – Approvazione del testo unificato n. 8-00115)’. La Commissione tecnico-scientifica, dietro evidente ragionamento panergico, viene chiamata a rispondere a questa buona emergente ‘patologia’ (definizione agghiacciante), definita, esattamente, ‘disturbo da stress post traumatico Covid-19’, di giovani e, addirittura, bambini, richiedendo di implementare servizi vari di psichiatrizzazione e psicologizzazione dei futuri cittadini in ogni dove, iniziando con l’inserimento fisso di uno psicologo a scuola. Anteposto che, da pedagogista, adesso vado ad analizzare in maniera dettagliata tutto il concetto richiesto, mettendo in luce, sotto un grande e potente faro che sui palcoscenici viene chiamato ‘occhio di bue’, la gravezza di questa indicazione propositiva. Andiamo a intavolare parola per parola iniziando dal termine ‘disturbo’, che sta a significare un impedimento, un intralcio gravoso e disordine delle funzioni organiche, continuiamo con la parola ‘stress’ che ci sta a indicare un tensore degli sforzi di un sistema continuo, e concludiamo con la parola ‘trauma’ che ci indica una lesione prodotta nell’organismo da qualsiasi agente capace di un’azione improvvisa e rapidissima che può produrre fenomeni locali o modificazioni generali dell’organismo. Bene! Il disorientamento già sta alla base di queste parole.
L’intervento sui bambini e sui giovani dovrebbe essere, dunque, solo quello di medicalizzare, psicologizzare e psichiatrizzare le menti dei piccoli, solo perché hanno dovuto modificare, per qualche tempo, la loro vita a causa di un evento straordinario come quello pandemico? Questa, a mio avviso, sarebbe una scelta azzardata e anche pericolosa per molti versi. Abbiamo saltato un tassello imprescindibile, un anello di congiunzione importante che unisce la delicata mente del più piccolo, con l’evento subíto, le dinamiche vissute e le risoluzioni più naturali e funzionali, la scelta dell’educare agli eventi. Urge dare peso a una mera visione pedagogica che, soprattutto oggi, in situazioni di forte vulnerabilità sociale, garantisce una apicale capacità di risoluzione, da pedagogista ritengo che, per affrontare difficoltà e incertezza, la scelta pedagogica accompagna le relazioni educative in una dimensione produttiva e rintegrale della persona. La pedagogia guarda ‘oltre’, si getta in avanti.
La forza dell’educazione garantisce quella carica, tenacia e intensità capace di accompagnare i più piccoli al cambiamento, al ribaltamento, alle metamorfosi e a tutte quelle particolari novità che si presentano nella vita, urge guidare alla visione della resilienza e trasformazione della realtà esterna e del recente accaduto. L’evento tragico non deve essere solo ed esclusivamente curato o psicologizzato, ma occorre trasformare in capacità solida, sollecitazione dinamica e determinata senza perdersi d’animo. La Pedagogia innesca una reazione positiva e molto efficace che permette a ognuno di ripensare la propria situazione di vita e quella della comunità della quale fa parte, siamo sicuri che nel post pandemia, bambini e adolescenti siano tutti disturbati, sofferenti, squilibrati mentali, folli, pazzi e alienati? La mia visione pedagogica e la mia esperienza mi inducono a una riflessione strutturata… noi professionisti non dobbiamo credere che i bambini e gli adolescenti ne siano usciti essenzialmente indifesi, vulnerabili e fragili, no, i giovani non sono così sguarniti come gli esperti osannano. I giovani e i più piccoli vanno correttamente informati dalle famiglie e dalla società spesso dietro paure irragionevoli da parte degli adulti, occorre educare alla resistenza alla resilienza per non subìre la suggestione della negatività del mondo adulto.
Occorre educare alla positività anche in pandemia, operare solidamente con chi ha bisogno di aiuto e resistere per non essere vittime della cultura del sospetto, non occorre curare nessun bambino, semplicemente basta ricorrere a fare un buon lavoro educativo, propositivo e ricco di proponimento vantaggioso e a supporto. Educazione come rappresentazione delle modificazioni modali, ricordando che, ad oggi, possiamo ricondurci a studi neuro-pedagogici che ci ricordano che; la persona, nella sua singolarità, viene toccata dall’ azione educativa, coinvolgendola anche nella dimensione di gruppo, attraverso una chiamata in causa delle aree della personalità in una modalità dinamica e reciproca, ecco quali sono: l’area cognitiva (razionale, processi di apprendimento); area emotiva (emozioni e sentimenti); area relazionale (socialità); area esperienziale (rielaborazione dell’esperienza e attribuzione di senso). La Pedagogia – a supporto delle altre scienze umane – resta proprio l’antidoto al marchio del così definito ‘stress post traumatico’ che a me piace definire, invece, dietro meravigliose frasi fatte: “L’istruzione è l’arma più potente che puoi usare per cambiare il mondo” (Nelson Mandela).
Dott.ssa Lo Cascio Claudia – Pedagogista