Viviamo in un mondo strapieno di paure per il domani. Chissà che succederà? Tante ansie e troppe domande senza risposte. Questo mondo sta respirando l’aria avvelenata del successo immediato o del successo conquistato a tutti i costi. Ma cos’è il costo più caro di questo successo immediato? Secondo papa Francesco è la solitudine e l’infelicità. Infatti, nell’udienza generale di mercoledì 5 febbraio 2020, nella seconda catechesi sulle Beatitudini che ebbe come tema ‘Beati i poveri in spirito’, papa Francesco disse: “Quante volte ci è stato detto il contrario! Bisogna essere qualcosa nella vita, essere qualcuno… Bisogna farsi un nome… È da questo che nasce la solitudine e l’infelicità: se io devo essere ‘qualcuno’, sono in competizione con gli altri e vivo nella preoccupazione ossessiva per il mio ego. Se non accetto di essere povero, prendo in odio tutto ciò che mi ricorda la mia fragilità. Perché questa fragilità impedisce che io divenga una persona importante, un ricco non solo di denaro, ma di fama, di tutto”. Sì! Una parte di questa solitudine nasce proprio dal volere insaziato di essere qualcuno che non sono. Allora, la continua competizione cogli altri e la mia eccessiva ossessione sull’Io mi isola di più. Ma poi c’è anche un’altra cosa in ballo di questa triste situazione: il giudizio e l’abbandono degli altri che sono intorno a me e che non mi danno l’affetto di appartenenza per vari motivi. E, come sappiamo, questo accade spesso negli ambiti famigliari, lavorativi e, persino, nella chiesa e negli istituti di vita consacrata.
Bisogna rispondere a questa sofferenza atroce! E la risposta l’ho trovata nel messaggio che papa Francesco diede alla XXV Assemblea generale della Conferenza Spagnola Dei Religiosi (CONFER) che si svolse a Madrid tra il 13 fino al 15 novembre 2018: “La vita consacrata cammina in santità. Come religiosi dobbiamo tormentarci, spenderci e stancarci vivendo le opere di misericordia, che sono il programma della nostra vita” (cfr. ‘Esortazione apostolica Gaudete et Exsultate’, n. 107). Non si tratta di essere eroi, né di presentarci agli altri come modelli, ma di stare con quanti soffrono, accompagnare, cercare con gli altri cammini alternativi, consapevoli della nostra povertà, ma anche con la fiducia riposta nel Signore e nel suo amore senza limiti. Da qui, la necessità di riascoltare la chiamata a vivere con la Chiesa e nella Chiesa, uscendo dai nostri schemi e comodità, per stare vicino a situazioni umane di sofferenza e di scoraggiamento che attendono la luce del Vangelo. Nell’esortazione apostolica sull’annuncio del vangelo nel mondo attuale, ‘Evangelii Gaudium’, numero 169, leggiamo sull’accompagnamento: “La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa ‘arte dell’accompagnamento’, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro” (cfr Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione, ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana. Stare con i sofferenti, accompagnarli, cercare cogli altri cammini alternativi, insomma sentire e rispondere al dolore dell’altro, questo significa essere cristiano e cristiana nel mondo di oggi.
di Fra Mario Attard